“But sometimes a tool may have other uses you don’t know. Sometimes in doing what you intend, you also do what the knife intends, without knowing. Can you see the sharpes edge of that knife?” (Philip Pullman)
Da mesi non mi sentivo così professionalmente carico e appagato come ora. È proprio un bel periodo. L’India è alle porte e sto studiando tanto. Come ho scritto in un commento a questo post:
I think that making slides is creating a part of a larger performance that is the presentation. And it’s not only about the idea of becoming an artist. It’s more related to a set of storytelling tool that are activated by the slides and give birth to the performance. What I’ve experienced as a game-changer for me is the ability to merge the content curation (lemon squeezing) with original creation (lemon growing) and presentation design (lemon “advertising”). A cultural core and concept links every set of slide I make and I believe that this human touch is the only thing that can save as from getting mad with ppt
Tagliando l’elefante dello stress a fette è che la pressione è raramente generata dalla fatica, la pressione è generata dal non sentirsi adatti. Lo stress è figlio di comfort zone disabitate. Non esiste umano in grado di appagarsi, anche se forse la filosofia è proprio la scienza dell’accettazione di quell’enough che non ci fa credere che il tantissimo che abbiamo non sia abbastanza. Sceso a Roma sono andato da Barzilai, un posto dove cercavo una cosa sola: lei.
Una volta con Giulio e Vladi siamo andati vicini a mettere per terra un libro su un concetto molto interessante, quello del versioning. L’idea è che la Pizzeria Da Pino crei delle economie di scala tali da permettere un’espansione senza scendere troppo a patti con la qualità del prodotto. Il tassista romano però, scatenato dalla (mia) domanda su Roscioli attacca l’industrializzazione di realtà come queste o del tiramisù di Pompi sentenziando che il far diventare catene questi luoghi iconici li spolpi del loro core culturale. Che poi è strano perché chi “nasce catena” o meglio disegna un progetto made to scale (sto pensando ad Avocaderia a New York ma anche a La Piadineria in Italia) questo problema sembra sentirlo meno. Si è parlato molto di enshittification delle piattaforme, chissà se alla prova della scala o del franchising questo accade anche ai brand. Il fenomeno è presto spiegato: ciò che nasce per dare valore agli utenti, nel tempo finisce per aver bisogno di estrarne dagli stessi, per farlo distrugge il prodotto. Questo fenomeno può coinvolgere tutti, tanto che i freelance hanno sentito il bisogno di un rebranding, ora si chiamano Fractional CMO. Non bastava il Temporary manager di 10 anni fa, ora dobbiamo parlare di Uberization del marketing manager. Io però pur lasciandovi lo spunto, vorrei focalizzarmi sulla gestione del tempo del manager frazionato, che detta tra noi mi sembra un’enfasi immotivata su una roba che esiste da sempre. Sto studiando il modello del Golden Butterfly, un modo per sperare di perdere soldi in borsa un po’ più tardi. Mi sono chiesto se lo stesso sia applicabile al nostro mestiere, l’idea del creatore vuole che la torta debba somigliare a una farfalla, ma non è vero.
Mi sono ispirato ad una proxy che cerchiamo di tenere a Marketing Arena. Con alcuni clienti lavoriamo perché ci posizionano, con altri perché ci pagano bene, con altri ancora perché possiamo fare ricerca e sviluppo. Ovviamente non sulla loro pelle ma con loro. Ho pensato che potrebbe non essere sbagliato dividere il tempo di un temporary manager (io davvero proprio non ce la faccio con frictional CMO) in 5 fette. Prima descriviamo le parentesi:
P di Profitto
F di futuro
B di brand
L’idea è quella di utilizzare al meglio il proprio tempo evitando di essere trascinati dalla corrente. Per il 60% del tempo lavoreremo, per il 20% faremo attività di comunicazione e per il 20% studieremo. Ieri tra i momenti di studio ho inserito l’ascolto di Matteo Caccia che ha parlato di storie e Podcast aziendali. Tra i tanti spunti del suo intervento ne porto a casa uno: le storie chiamano storie. Ma le storie si innestano nelle culture. C’è un articolo del New York Times che parla di culture, ad un certo punto dice:
The new sort fills its Pinterest pages with something else: colorful Stanley mugs, tiered pink micro-minis, bulbed makeup mirrors and Brazilian Bum Bum Creams.
E se sul bulbed makeup mirror vinciamo facile:
Vengo quasi alzato dalla sedia quando penso alla Brazilian Bum Bum cream, sarà lei? Lei, è la crema che ho comprato a Buenos Aires per portare a mia mamma “lo scrub” che le prendo ogni volta che viaggio. Il fatto che il retail aeroportuale mi abbia messo in mano proprio questa crema è un segnale: la GenZ è un pezzo vero del mercato.
Non è facile addentrarsi nelle subculture del momento ma ho la sensazione che questa roba meriti un approfondimento. Se Valentina Tanni con Exit Reality ci aveva portato fino alle porte del nuovo mondo, qui è di Tomato Girls, Vanilla Girls, Monumental, Goblincore e Crowcore e (purtroppo) leggings legs che si parla.
Ok ma quale è il punto? Il punto è che gran parte di queste esperienze vengono vissute in solitaria. Una dopamine society che è fatta più o meno così:
Siamo di fronte ad una puntiforme long tail dell’estetica che sembra non avere tempo di secolarizzare i trend. Quando il Colle Der Fomento cantava “da Roma Nomentano” tu avevi tempo di capire, di immaginare, di vestire DC o Billabong. Ma soprattutto in qualche modo la fisicizzazione della crew era reale. Ora ci sono due elementi da considerare: il primo lo spiega il fantasanremo. Non ti interessa il contenuto ma può andare bene anche interagire col contenitore. Il secondo è più vicino a quell’assenza di fame di vita che c’era una volta. Molti genitori riportano momenti di svogliatezza, apatia, sabati pomeriggi in casa nei loro figli, non era così, cazzo, 20 anni fa. E se il rischio di cadere mani e piedi nel booming è alto, torna alla mente la canzonatoria storiella dei genitori della Silicon Valley che non permetterebbero ai propri figli di usare il telefono. Il telefono è un sistema di accesso molto popolare a dopamina in pillole. Non è solo un problema di povertà, è un problema di società e cultura del lavoro. La verità a mio parere è che le tossine di questo sistema atterrano anche su genitori che forse stanchi forse arrabbiati lavorano troppo, quindi il sabato faticano a lavorare sulla soluzione al problema, che è una sola: costruire occasioni di socialità. Cibo, Sport, Eventi, sono momenti elettivi di socialità, anche per il solo fatto che sono le occasioni in cui il telefono non sta: in campo, a tavola, a teatro.
La sensazione è che questo film non sia bianco o nero. Nei 500 commenti all’articolo del New York Times c’è veramente tanto da imparare. I miei 14 anni avevano un solo luogo di ritrovo: il campetto. L’alternativa era giocare un po’ ai videogames ma gli stessi si inserivano in una routine che non prevedeva troppa scelta. Iperscelta non è una mia creazione:
(..) cosiddetta “Fatigue”, termine divenuto famoso nel corso della crisi pandemica e che poi è stato riadattato al rapporto tra utenti e piattaforme, soprattutto per enfatizzare l’ipertrofia dei contenuti a cui l’utente va incontro senza talvolta essere in grado di scegliere cosa consumare. Una versione avanzata di quello che negli anni settanta Alvin Toffler definì come il paradosso dell’iperscelta. Un altro aspetto chiave della riflessione di Lovink è la critica della Cancel Culture attraverso una prospettiva che ricorda McLuhan in Dal cliché all’archetipo (1974) quando sottolineava la sostanziale appartenenza se non addirittura la derivazione dell’intera controcultura hippie dal mondo televisivo.
Le implicazioni di marketing si sprecano: l’ultima LVMH che decide di aprire uno Studio di produzione per stare dietro alla necessità di creazione di questo nuovo mondo, anche per questi nuovi pubblici.
Ci metteremo la testa, intanto i compiti per casa prevedono il seguente menù: cominciare a capire questo mondo e queste persone e tutta la loro dignità e difficoltà. Ricordandoci magari che una vendita non può corrispondere all’abuso di debolezze sociali colmate con prodotti che non ci servono. Il nuovo marketing può e deve essere una risposta a questa chiamata alla responsabilità.
adoro lo stile fluviale
imperdibili, e faticose (nel senso che bisogna metterci la testa), le tue riflessioni.