Vinitaly e le Periferie Competitive
“Erriamo nei tempi che non sono i nostri”
(Blaise Pascal)
Cominciare la giornata a Milano garantisce sempre un misto di realtà e fantasia. La fantasia è quella di credersi manager o docenti, nelle business school di alta lega. La realtà è la strada per arrivarci: la fila al “Pane Quotidiano” (un luogo dove si aiuta con un po’ di cibo chi di cibo non ne ha), è un colpo al cuore: anziani, signori distinti, persone normalissime. Non c’è traccia degli “stranieri che ci rubano il lavoro e il pane”, c’è l’Italia che non ce la fa. Anche a Milano.
Su questo tema è freschissimo di stampa per “Il Mulino” Periferie Competitive di Giulio Buciuni e Giancarlo Corò. È un libro complesso, tecnico, ma a mio parere rappresenta IL libro per la comprensione della complessità del rapporto tra città Alpha come quella da cui scrivo ed ecosistemi territoriali, come quello che ieri ha ospitato il Vinitaly.
Il Vinitaly è un caso probabilmente chiave per discutere il futuro delle Periferie. Ma partiamo da un caso di marketing, quello dei Custodi Delle Vigne Dell’Etna:
Un territorio in cui il costo per ettaro è circa decuplicato in pochi anni
Vini di alta qualità, con esperimenti di metodo classico che ricordano brand più blasonati
Una conoscenza del prodotto più profonda nei nuovi scopritori stranieri che nel pubblico italiano
Nelle terre del Nerello Mascalese la domanda supera e supererà l’offerta, con queste aziende costrette a risolvere un happy problem con la tecnica delle assegnazioni contingentate. La tesi del libro, ma non solo, è che su diversi cluster di competenza si possa giocare il futuro di questo paese, con le città Alpha a catalizzare l’economia dei servizi (e i servizi dell’economia) e i contesti locali a fornire competenze e prodotti su temi e comparti meno centrali per Milano, Parigi e Londra. Ma fondamentali per il paese. Ben venga insomma il Vinitaly a Verona.
Ma c’è di più. Le fiere sono ancora un elemento centrale per il produttore, lo sono meno per i distributori che diventano nuovi abilitatori di momenti molto più concierge e soprattutto brandizzati (sto pensando a Campari Academy).
Cosa imparo? Che i brand sono chiamati a mappare le proprie piattaforme di relazione, digitali o meno. Potremmo prendere a prestito gli owned e i leased media dalla teoria, questi momenti sono a loro modo una fusione di media e contenuti, con un benedetto ed altissimo tasso di pedonabilità. Alla fine è lavoro.
Un lavoro che diventa secondo uno studio di Conference Board sempre più ibrido. Un lavoro in cui ci sono due fantasmi da scacciare come i ghostbusters:
anche se non sembra, è un tema difficilissimo. I manager devono diventare coach, sponsor, e la cultura aziendale deve essere chiara e riconoscibile. Nello stesso momento però non sono spariti i clienti che gridano o l’ufficio procurement che vuole lo sconto. Siamo di fronte ad un cortocircuito in cui ChatGPT ci ruba il lavoro (non è vero ma antenne dritte), i nuovi lavoratori sono stati picchiati talmente tanto dalla pandemia, la guerra, la religione e la vita da trasformarsi a volte in snowflakes e le aziende vivono dentro il grande punto interrogativo tra marginalità e profitto necessari e lunaparkizzazione di un pezzo del mestiere, soprattutto quello dedicato al cliente interno: chi lavora con noi. Ho solo una certezza (anche dopo essermi sciroppato il pensiero di Exponential View e Goldman Sachs): nessuno ha le idee chiare sul tema
Il lavoro ibrido porta grandi vantaggi, su tutti la possibilità di accedere ad un bacino di talenti più ampio. La sensazione è che si stia guardando alla domanda sbagliata: non è perché tornare in ufficio, ma in che occasione fare una cosa da un posto e in che occasione farla da un’altro. Serve insomma una motivazione per tornare in ufficio.
In un contesto in cui la fiducia verso le istituzioni va azzerandosi, l’idea di fuggire dai bullshit jobs (libro bellissimo) per rifugiarsi nella tangibilità di un amaro che recupera la ricetta di un convento è ossigeno puro. È quello che sta facendo Grappa Berta, che però questo prodotto lo comunica con un evento al fuori salone con Lago. È quello che sta facendo Lanerossi che presenta un plaid in collabo con Palomba & Serafini, e potrei continuare a lungo. Un new deal alimentato dalla visione dell’education di Talent Garden, del talento di Cosmico o del food di Propaganda Alimentare.
Credo che il compito di noi marketers sia quello di comprendere con un lavoro di analisi quali sono i fattori che abilitano i nuovi luoghi di successo e come replicarne il DNA. Se dieci anni fa eravamo onesti narratori di link building e keyword search, oggi dobbiamo essere macro-economisti che individuano trigger point sociologici in umani dal comportamento incomprensibile. Se questa newsletter sarà spedita all’1.15 (edit: 1.36) “un motivo ci sarà”, bisogna stare in palestra più degli altri per essere Kobe.
5 cose che mi sono piaciute
🍓 - The non-partisan news dream
🏎 - Si può diventare soci di Substack (ma il link sopra sembra sconsigliarlo)
🕹 - Silicon Valley’s midlife crisis is destroying the internet
💡 - What is marketing attribution and how do you report on it?