Stamattina stavo guardando Pollon. Ad un certo punto entra negli inferi con un po’ di gente, ed io per fact checking ne verifico su Google il guardiano, Google capisce Agenzia Delle Entrate e mi rovina la mattina. Ben venga ChatGPT. Pollon per qualche motivo sta cantando con Ade e Persefone, di cui abbiamo una diapositiva:
Questi guardiani della scampagnata negli inferi mi hanno fatto pensare agli inferi del web marketing, che stiamo amabilmente schivando con un ottimismo almeno pari al “tranquilli riesco a guidare” di un Veneto dopo una serata in trattoria. Nel mentre, McKinsey licenzia 2.000 persone.
La grande fatica di chi si occupa di marketing, è quella di occuparsi di marketing. Ogni contenuto mi riporta all’avanguardia della tecnica, tra GA4, AI e angoli di advertising per stimolare il triggering. Parola, angoli, che ho già sentito tre volte in settimana, ho la netta sensazione che angolo sarà il nuovo elefante nella stanza. Ho dei dubbi.
Perché ho dei dubbi? Perché approcciare il marketing digitale con una visione di ottimizzazione o di supporto alla vendita, significa non leggere del tutto il business, o almeno dare per scontato che lo stesso stia in piedi. Anche se hai il miglior meccanico dell’idraulica per la tua macchina di Formula1, se la disegnano totalmente anti-aerodinamica, andrà piano. Quindi ci serve un designer, il famoso strategist. Ma anche in questo caso l’approccio al mercato non terrà conto del vero elemento dirompente: quello che rimane dopo i costi, le tasse, gli ammortamenti, la vita, cioè l’utile.
Abbiamo insegnato alle startup a bruciare cassa. Per loro quindi è molto chiaro che se hai 5 milioni e ne bruci mezzo al mese, dopo 10 mesi ti serve un altro round, oppure chiudi. Questo concetto è meno noto all’azienda B2B che decide di saltare il canale o al figlio dell’imprenditore B2C che sceglie di costruire una piattaforma di noleggio di biciclette acquatiche elettriche sul lago di Garda (business che mi sembra tra l’altro super gustoso, una bici elettrica da acqua costa circa 8K).
Ecco perché propongo il gufo nero del web marketing, il Burn Rate Manager. Si tratta sostanzialmente di uno che se ne fotte dei tuoi ricavi, ed è ossessionato dai tuoi utili. E come ragiona il burn rate manager? Al contrario. Immaginate di essere un grosso rivenditore di formaggi, che ha un business piuttosto consolidato e vuole aprire un e-commerce. Ci sono un po’ di domande che ha senso farsi: partiamo dalla più facile, quanto costano al mercato i 3 prodotti che venderò?
E quanto costano a me?
Ora, diamo per buono che il nostro prodotto di punta sia il “bundle 3 formaggi” 🧀 che costa 36 euro per 3kg di prodotto, ed immaginiamo che gli 8 euro di spese di spedizione siano pagati dall’utente e quindi “non ci impiccino”. Immaginiamo anche di vendere 500 bundle nel primo mese di attività.
Fatturato primo mese: 18.000 (500 * 36)
Utile primo mese: 7.500 (500 * 15)
E qui comincia la rumba. Ogni mattina un burn rate manager si sveglia e sa che dovrà correre più delle spese. Vogliamo “tagliare con l’accetta” i costi di vendita tra commissioni, tecnologie e paypal vari? 4% (vi anticipo che non basterà).
Costi di vendita: 720
Utile dopo costi di vendita: 6.780
Fin qui la cattedrale ha funzionato, ma è ancora ferma nel deserto. Come portiamo traffico quindi vendite a questa baracca? Ma con l’adv no?! Qui il ragionamento si fa serio ed “attaccabile”, quanto costa un click? Qual è il conversion rate? Mettiamola così: per fatturare 18.000 euro non c’è “nessuna vergogna” a pensare ad un 10% di adv necessaria + 10% di costo consulenza, sono 3.600 euro. Ma siccome siamo parchi, facciamo 3.000. Sia chiaro che nessuna agenzia vive con 1.500 euro al mese quindi siamo già nel mondo dei free lance. (e va benissimo, ma ce ne servirà uno anche per la SEO etc..)
Costi di marketing: 3000
Utile dopo costi di vendita: 3.780 (6780-3000)
E gli imballi? E il dipendente che impacchetta? E il software di spedizione? E shopify? E il tema di Shopify? E il plugin per gestire i carrelli abbandonati?
Per farla semplice semplice, immaginiamo un margine del 20% prima dei costi fissi operativi, che stimiamo senza paura in 60.000 euro l’anno (metà dipendente, metà altro). Tagliato con l’accetta, il fatturato di break even è di 300.000 euro.
Qui cominciano tanti, tanti ragionamenti, ne propongo almeno 3:
il ruolo del brand per calmierare il costo per sale
il ruolo di seo, copy, social e influencer marketing per impattare sulle conversioni e abbassare i costi
la possibilità di fare upselling e cross selling e soprattutto alzare lo scontrino medio
L’intuizione, spero non errata, sul burn rate manager, vuole spingere a riflettere non solo sull’ottimizzazione dei tassi di conversione, ma anche e soprattutto su metriche meno sexy come ad esempio l’impatto positivo di un raddoppio dei prodotti a magazzino sugli scontrini medi (carrelli più ampi), ma anche il costo finanziario del magazzino stesso. E questo discorso non vale solo per gli e-commerce.
Il digital marketing brucia più cassa che mai, sapete quale è secondo me il segreto? Usare il digitale per far funzionare tutto il resto, a partire dal retail e dal B2B. Il direct to consumer è una macchina terribilmente costosa, e sarà sempre peggio.
👏👏