“La vida es corta, perdona rápido, no discutas por tonterías
Besa lento, ama de verdad, cela un poco, no mucho, solo un poco,
Ríete sin control, y nunca dejes de sonreír por mas extraño que sea el motivo,
Puede ser que la vida no sea la fiesta que esperabas, pero mientras estés aquí,
tienes que bailar”
Spesso mi chiedono quanto tempo dedico alla stesura della newsletter. Guccini ha scritto forse in 25 minuti “La locomotiva”. A volte accade così, a volte servono ore. Scarabocchio appunti per poi metterli a terra. Lo faccio in modo curioso, mi mando una mail che resta sempre in bozza e la modifico alla bisogna. Non la mando mai veramente. Aggiungo pezzi dal telefono, sui treni, dipende.
Sarà che vivo un periodo “tranquillo”, saranno gli anni. Sono tornato dal Giappone estremamente sereno e carico, direi più ordinato. Un reel visto di recente ha chiuso il cerchio di alcune considerazioni che mi giravano i testa. Il video parla delle ragioni dell’assenza di una comunità giapponese in America, sostanzialmente 2:
il Giappone è un luogo in cui le cose funzionano (trasporti) ma soprattutto tutto è “safe and clean”
la cultura Giapponese è avversa al rischio
In un momento in cui mezza America brucia non è difficile simpatizzare con la sponda nipponica, ma andrei un po’ più a fondo. Ogni cultura ha le proprie complessità (ad esempio da vedere la dura verità sulla Idol industry) ma la sensazione che il mito americano abbia un costo sociale ed individuale elevato è viva. A guardare la conversazione tra Marcello Ascani e Matteo Franceschetti ci si sente un po’ dalla parte sbagliata, lui addirittura in USA avrebbe voluto arrivarci prima!
Io un po’ la soffro sta cosa di non fatturare 10bn, ma onestamente poco. Mi piace di più l’idea di risolvere un problema grosso di tanta gente. Ma è un’ambizione complessa. Insomma un secondo al mese voglio essere Elon, ma poi mi passa.
Ma cos’è la felicità? Ci ho ragionato. Di pancia per me è la somma di più giorni felici possibile. Penso però che il tema sia più articolato di così: la somma di giorni felici non garantisce una vita felice. Facciamo un esempio: ho un caro amico che può passare i prossimi 7 giorni con la sua bimba piccola, sono 7 giorni “sulla carta” felici, ma aggiungo un’informazione: può farlo perché è in cassa integrazione, sono felici davvero? Forse il nostro obiettivo è vivere giorni felici all’interno di un contesto di vita sereno. Martedì insegnerò ad un bel master ma non giocherò a tennis, sarà il giorno più felice della mia vita? No, ma poco importa perché arriverà giovedì, e giocherò. Sarà nel complesso una settimana felice. Sempre che giovedì arrivi davvero ovviamente. Di testa quindi, la felicità è fatta di persone e progetti. Le nostre persone, i nostri progetti.
Sono incappato nel post di Paolo Ratto che rimandava al blog-post di Vinay Hiremath (co-fondatore di Loom) che colpevolmente non conoscevo: I am rich and have no idea what to do in my life. Vinay ha preso davvero un sacco di soldi grazie ad una exit, ha lasciato il lavoro ed ha iniziato a girare il mondo, facendo un po’ di casino. Il suo post è un concentrato di onestà che non porta da nessuna parte (per sua ammissione) ma comincia con due domande interessanti:
What is the point of money if it not for freedom?
What is your most scarce resource if not time?
E ci racconta che tutto sommato nemmeno tutto questo tempo libero per concedersi un Grand Tour per il mondo sembra essere una grande idea. Le persone hanno bisogno di uno scopo. Certe persone hanno bisogno di un grande scopo, una sfida. Come diceva una vecchia pubblicità, non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello
Ed una delle cose dice il post è “non so dove porterà questo post, lo scrivo egoisticamente per me”, vale anche per questa parole. Cerco da ieri un modo per raccontare una storia e collegarla al post. Non lo sto trovando, ma la voglio raccontare perché è una storia di marketing e (in)felicità. Siamo andati a comprare una macchina, è bella. Non citerò alcun brand. Oggi una vettura è una stampante: si guadagna con le cartucce, non con la stampante stessa. Il venditore (un consulente, quindi una chiara p.iva) è ambasciatore del brand che con fame ha fagocitato decine di piccoli saloni. Sicuramente spinti dalla grande società di consulenza, casa madre e grande dealer si sono trovati in un modello molto agile in cui la marginalità è data, guarda un po’, dai servizi finanziari. Cerco di metterti in macchina con una rata ragionevole e un’anticipo basso, stringendoti nella morsa del “da qui non uscirai mai più” che in marchettese si dice “sei libero di tenerla o restitiuirla”. Che poi mio zio che ne sa della differenza tra TAN e TAEG?. Per poter pagare “a soldi” la macchina, cioè senza finanziamento, abbiamo dovuto superare due ostacoli:
la ritrosia del concessionario: c’è poco prodotto e la marginalità su questa vendita con zero servizi accessori è molto bassa
la ritrosia del consulente: senza alcun finanziamento, va fuori strada rispetto ai propri obiettivi
Facciamo il punto perché è interessante.
Servizi accessori: pago una estensione di garanzia, assicurazioni e tagliandi che portano il prezzo da 5 a 10
Finanziamento: finanzio quell’importo portando il lordo finale da 10 a 13
Quindi una vettura che viene pubblicizzata a 5 esce a 13, tu pensi di pagarla 5 a rate, ma la paghi 13. Quello che mi ha portato molto dispiacere, e che mi fa legare questa storia alla newsletter sulla felicità, è l’insieme di intangibilità che ho vissuto. Il venditore è l’ultimo anello della catena, costretto ad un sabato e domenica in salone, probabilmente mal pagati. Ho vissuto un forte dispiacere nell’appropriarmi del suo margine. Ah, deve pure andare a prendere la macchina in un “magazzino centrale” sempre più centrale. A livello retail quindi si passa da un hub di prodotto ad un hub di servizio. Ho poi pensato a mio zio, un bonaccione. Sono serviti il diploma in ragioneria e la laurea in marketing per non caderci. Ma soprattutto per capire che stavamo vivendo qualcosa che non va bene*. Mio zio ci sarebbe caduto.
Ieri ho passato una bellissima serata, felice, con la mia mamma e una buona bottiglia da Zuma a Roma.
Non solo oggi la felicità si sposta su persone e progetti ed esperienze, la felicità è poter impattare nel mondo nel modo più onesto che si può. E forse non avere rimpianti. Mi ritrovo spesso a pensare che la “piattaforma Marketing Arena” permette ad esempio ad una ragazza di 23 anni di chiedere un mutuo con il suo fidanzato, perché facciamo dei contratti degni di questo nome (dovrebbe essere scontato, non lo è). I nostri clienti non hanno “strane fee” perché è tutto trasparente. Come dice la mia prof di inglese, cerchiamo di essere reliable people. La felicità forse non è andare da qualche parte, prendersi il prossimo milione o essere Elon. È vivere la vita rispetto ai progetti che si hanno con le nostre persone, con l’ambizione di cambiare un pezzo di mondo (grande quanto riusciamo) ma soprattutto di non dimenticare di vivere ogni giorno mentre cerchiamo un futuro che ci è appena passato sotto il naso. Buon lunedì.
*Libro pazzesco —> (Nel mio mestiere nessuno vuole la felicità perché la gente felice non consuma)
Gentile Giorgio,
grazie per questa condivisione, quasi un flusso.
Mi permetto di lasciarti un pensiero che ho fatto mio negli anni nel riflettere su temi come quello di cui scrivi.
Probabilmente la felicità non è data da quello che facciamo o da quello in cui ci impegniamo, ancorché per scopi nobili o per fare stare meglio gli altri. Tu scrivi che la felicità è fatta di persone e progetti ma, siccome umani e fatti da uomini, credo che le persone prima o poi deludono o tradiscono e i progetti finiscono. Da cos'è data allora la felicità? Non tanto dallo scopo per il quale ci impegniamo ma credo che abbia a che fare più con il senso. Il senso per il quale esisto. Qual è il senso della vita? Questa è in fondo la domanda-fulcro per definire se siamo felici. Tanto più mi addentro nella ricerca di questa risposta e tanto più mi sento felice.
Ecco, un piccolo pensiero di reazione nel leggere la tua nl.
Un saluto
“Felice è chi ha commisurato la propria esistenza al carattere, al volere e all’arbitrio suoi particolari, e così nella vita gode sé stesso. La storia non è il terreno della felicità. I periodi di felicità sono pagine bianche della storia poiché sono i periodi di concordia, nei quali manca l’antitesi”. “Lineamenti di filosofia del diritto” [1820], Bompiani, Milano 2006, p.26, scrive quel cialtrone di Hegel (© Schopenhauer)