Rovigo no
A Rovigo vorrei scrivere poche righe. Le scrivo con due libri ai lati del mio principale strumento di lavoro, il computer. Il primo è “Periferie Competitive” dell’amico Giulio Buciuni, il secondo è “La psicologia dei soldi” di Morgan Housel. Cominciamo da un passaggio di questo secondo libro:
Nel 1968 c’erano circa 303 milioni di persone in età di scuola superiore. Circa 18 milioni di loro vivevano negli Stati Uniti. Circa 270.000 di loro vivevano nello stato di Washington. Poco più di 100.000 di loro vivevano nell’area di Seattle. E solo circa 300 di loro frequentavano la Lakeside School. Iniziamo da 300 milioni, finiamo con 300 persone. Si dà il caso che Bill Gates fosse uno di loro. “Se non ci fosse stata una Lakeside, non ci sarebbe stata una Microsoft” ha detto nel 2005 ai diplomandi di quella scuola.
Lakeside fa rima con opportunità. Rovigo no.
Stati Uniti fa rima con opportunità. Rovigo no.
Milano fa rima con opportunità. Rovigo no.
Treviso fa rima con opportunità. Rovigo no.
Ferrara fa rima con opportunità. Rovigo no.
Mi piacerebbe ironizzare sul fatto che a Rovigo è meglio nascere rugbysta che qualsiasi altra cosa per avere successo, ma non è vero neanche quello perché in nazionale facciamo rima con “appestati”. Ma perché queste righe?
Ieri l’Accademia Dei Concordi, nella persona di Giovanni Boniolo, mi ha chiesto di divenire socio della stessa. È una cosa figa, c’è un contatto storico col comune, questa gente ha in mano le chiavi culturali della città. Il sindaco Gaffeo è un accademico, il vicesindaco Tovo è un accademico, Boniolo è un accademico che il mondo ci invida. Ma ovviamente Rovigo non lo sa. E da socio affido ai social il mio non richiesto discorso di insediamento.
Solo alle orecchie più fini non è sfuggito il tono idiosincratico di alcune delle punte dei discorsi delle “parti sociali” coinvolte, discorsi finiti con una mano tesa in cui però non si è evitato di darsele di cordiale santa ragione. Ci sono alcuni punti che meritano di dare a Rovigo una possibilità, almeno di riflessione.
L’Accademia riunita ieri ci ha detto una cosa: togliete dal tavolo l’elefante dei soldi, perché tutto sommato quelli ci sono. È stato persino imbarazzante dover far coesistere i ringraziamenti a due fondazioni bancarie non una. E il comune ha detto nella persona di Tovo: “abbiamo bisogno di Accademia e Competenze”.
Non cadrò e scadrò nel populismo da bar del centro chiuso, della Fattoria, di Bruce Spingsteen a Ferrara, non è qui che ci interessa. Il mio pensiero è legato a Rovigo come piattaforma di opportunità. Non lo è.
Qualsiasi amministrazione comunale sconta un effetto per cui la Montagna partorisce il Topolino, indipendentemente dalla fazione, volontà e bravura del reggente, la politica picchia duro sulle idee e le azioni e le rende operazioni stucchevoli, in cui i denti dei lobbysti hanno azzannato la carne più buona prima che la città possa sfamarsi. Si, anche a Rovigo. Ho in mente gli esempi, ma non sarebbe elegante al primo giorno di scuola da socio, anche se da Boniolo ho imparato che c’è espressione libera di pensiero in questa gilda di notabili.
La verità è che io penso che Rovigo possa farcela ma non ce la farà. Nella teoria dei grafi coesistono nodi ed archi: facciamo finta che un nodo sia una competenza ma un arco è la sinapsi che ne lega due. Troppi interessi, troppa lentezza, troppa complessità, troppa poca scala. Rimboccarsi le maniche non basterà. solo un sistema può salvare il sistema. Rovigo ha bisogno di 3 cose:
Valorizzazione delle competenze distintive esistenti
Costruzione di un ambiente in grado di moltiplicare le competenze emergenti e produrne di nuove
Flussi
Per dirla pane e salame, servono scuole di eccellenza e il doppio delle persone in entrata. Va bene Renoir e l’università, ma serve semplicemente “più roba così”. Che apra Kasanova è pure un bel segnale, siamo un bacino che ha ancora qualcosa da dare. La grande lezione a Rovigo la da Google Immagini, sapete come ci vede Expedia?
Ci vede come un parcheggio e dormitorio per andare a Venezia. E si indigneranno i notabili della prima fila già scherzati da De Andrè (“dal commissario al sagrestano”), ma io gioisco perché è un’opportunità pazzesca di intercettare un flusso: dormi qui amico, vai a Venezia ma fermati una notte in più vieni a vedere Renoir e vai a bere ai Trani.
E non cadrò neanche nella retorica dei rovigotti nel mondo. Perché così li chiama, ci chiama, in una storia di Instagram “Canal”, un influencer figo. E anziché costruire un sistema per dire “Veneti del cazzo, mentre voi eravate impegnati a ridere di noi abbiamo costruito un brand Rovigo, fatto le cose e vi abbiamo fottuto”, noi ci tuffiamo nei commenti, leoni da tastiera, a protestare con l’Instagrammer, che ha solo che ragione visto che da centinaia di anni il ruolo di cenerentola della regione, diciamolo, un po’ ce lo facciamo pure piacere.
In questa città suicida un po’ Boniolo le cose le ha dette. Il patrimonio è importante. Ma moriremo schiacciati dal peso della storia. Perché in un paese (già lento) in cui i Social Media Manager si chiedono se l’Intelligenza Artificiale li ucciderà o meno, noi abbiamo cura e cuore per il manoscritto, ma non sappiamo che farne del digitale. Perché a Rovigo il digitale non esiste. Ed ecco la lista dei lavori che spariranno secondo uno stucchevole e sbagliato “pensiero” di chi per definizione non pensa, cioè l’intelligenza artificiale.
Di fronte a questo tema Rovigo ha un grande vantaggio: non essendosi mai minimamente interessata a formare gente così, non è un problema se questi mestieri spariscono.
La situazione, al di la delle risate, è urgente e grave. Abbiamo tutte le carte in regola per diventare trasparenti e più irrilevanti di quanto siamo. Un tessuto industriale quasi nullo, una percezione del brand cittadino neanche magica (in verità orrenda), flussi scarsi e pochi elementi distintivi. Se poi citando “gli outlier” vogliamo raccontarci che a volte vinciamo lo scudetto in un campionato mediocre, che qualcuno vince il campionato del mondo di capoeira e che un’agenzia di Marketing è nota in Italia facciamolo. Ma di Gorilla Albini non si riempiono gli zoo e soprattutto non è nelle teste e nelle code che c’è la grappa buona. Dobbiamo rendere tutto quanto abbiamo di mediocre, figo.
Farlo è possibile, servono pochi tavoli, poco pensiero, vanno messi da parte tutti quelli che hanno creduto di lavorare per Rovigo nel tempo, quelle parole false come le monete da 20 euro che ci hanno propinato facendoci credere a una città anche un po’ viva, anche un po’ evoluta.
La verità è che dobbiamo partire da pochi punti: i soldi della Fondazione, Renoir, il Delta, Venezia e le competenze locali. L’Università. Essere Accademia non significa custodire il passato come la foto della nonna venuta a mancare cui ti aggrappi quando affetto non te ne da più nessuno. Essere Accademia significa disegnare il futuro partendo dalle certezze del passato, significa mappare la gente più figa che c’è e costringerla a lavorare per questa città. Perché la verità è che in una città che da tu prendi, in una città che prende tu dai. Ce l’abbiamo noi rovigotti una cosa che ci lega, ed è quel senso di rivalsa di chi ha voglia di dire ci siamo, i 5.000 al Battaglini, quella roba la. Ma questa energia va convogliata in un progetto, che punti ad espellere la sabbia dagli ingranaggi e vi versi olio fresco.
Rovigo è morta, ma abbiamo un vantaggio: non lo sa. Una resurrezione almeno culturale è possibile, e mi si scusi se non trasudo ottimismo ma spesso lo stesso, ha prodotto risultati mediocri.
Ripartire dalle competenze è una strada intelligente. Sarei onorato l’Accademia Dei Concordi fosse luogo di nuova linfa per le stesse.