I pensieri che seguono nascono sotto il cielo d’Irlanda. Mi trovo a Dublino per espiare una delle cose che annualmente mi infliggo: 18 ore di difficile docenza in inglese ad un Master molto sfidante. Nel 2024 ho deciso di aggiungerne altrettante in India, giusto per renderla più complessa. La parola comfort è per me qualcosa di strano, e parlare di zona di comfort è, come ho letto su Facebook, “un po’ scendere in piazza a protestare contro la discesa in piazza”. Molti di noi sono condannati ad arredare i propri inferni più che per godere una vita rilassata. O forse siamo condannati a sostenere questa narrazione, senza motivo in realtà. Vorrei parlare di una cosa, anzi due. La prima è solo il continuare a chiedersi se ne vale veramente la pena. E la risposta in realtà è che forse si. In questo momento sono fisicamente stanco, anche mediamente preoccupato perché sottoposto a giudizio di persone che applicheranno filtri culturali diversi dai miei, un po’ teso per la performance che dovrò mettere in aula. E l’inglese non è l’italiano. Che casino. Ma ne vale la pena perché ad alimentare il fuoco della curiosità sono le cose difficili. Non ambisco ad ammorbare chi legge con il mio struggle. Mi sono chiesto mentre volavo in doccia di buon mattino cosa si possa imparare professionalmente da momenti come questo, provo 5 spunti:
Taglia l’elefante a fette: raramente lo stress lavorativo è come quello della notte prima degli esami. Siamo sopraffatti dalla mole di cose da fare, spesso condite da una buona dose di bullshit jobs: burocrazia e cose che non vorremmo. Se però dividiamo in parti più piccole i problemi, si risolvono più facilmente
Se puoi sognarlo puoi farlo: so che sembra davvero buffo, ma è una frase che ho letto nella palestra del Trinity College. Ultimamente sono molto appassionato di motivazionali spicci, però se non si esce mai dalle proprie zone di serenità, non si cresce, forse non si vive
Sii ambizioso, ma non scellerato: una volta ho letto un articolo su The Rebooting che diceva “the best brands are at intersections”, per me “the worst shit” risiedeva nell’intersezione dell’inglese che sapevo meno bene di ora con un corso che non era il mio. Nello specifico insegnare Digital Business Model era lontano anni luce dalle mie competenze. Non ho mai voluto ammetterlo e mi sono schiantato (= per due anni ho preso un voto sufficiente per la riconferma ma lontano dai miei standard di ovunque). Mi piace sempre ricordare la volta in cui Stoner disse a Valentino “la tua ambizione ha superato il tuo talento”. Touché
Distribuisci idiosincrasie ma sii gentile anche gratis: i miei tre ospiti di questa settimana sono stati amici con cui ho relazioni di lungo corso. Tomas ha parlato di Wethod, Siro di Dunnhumby e Alessandro di Avo. Sono tutte persone che avanzano più di un favore da me ma si sono messe a disposizione. È una cosa che apprezzo tanto ma che professionalmente si può costruire. Ma mai come oggi sono convinto che siamo la media delle cinque persone che frequentiamo. Fatevi buoni amici, non perché vi tireranno fuori dai pasticci durante una lezione in inglese, ma perché vi faranno crescere durante una cena in italiano. Oggi ho mangiato al “The Bank”, era l’unico posto dove facevano le tagliatelle (buone). Al piano sedeva una signora, quasi sicuramente pagata. Ho pensato però di passare a salutarla, non prima di essermi vergognato per aver guardato più il telefono di lei. Penso le abbia fatto piacere
Trustparency: questa cosa l’ho imparata da Alessandro, pochi minuti fa. È un neologismo che funziona come crasi di fiducia e trasparenza, ed è un mantra di Avo, ex Avocaderia. Qualche volte questa settimana ho gestito le poche cose che Marketing Arena ancora mi chiede come CEO, ed in ognuna di queste ho cercato di mettere più fiducia e trasparenza possibile. Penso siamo di fronte a un proposito da tatuarsi o quasi
In verità il titolo di questa newsletter nasceva dalla strana ricezione quasi contemporanea di due contenuti che vi consiglio di leggere con attenzione (uno e due), poi però ho pensato che un etto di vita vera sarebbe andato benissimo.
Più viaggio, più incontro persone interessanti ma al tempo stesso “fiói” (ragazzi come noi), più capisco due cose:
la prima è che le cose sono come sono
la seconda è che se non ne stano parlando sul New York Times, magari domani sarà passata
La verità è che è tempo di stare tranquilli, mettere una pinta di Guiness sul bancone e accendere il week end pensando alle cose belle che possono succedere. Ai link di marketing ci pensiamo la prossima settimana.
Parole sante 😀