“Nel trasportare il respiro, l’inalazione deve essere completa. Quando è completa, ha una grande capienza. Quando ha una grande capienza, può espandersi. Quando si espande, può penetrare verso il basso. Quando penetra verso il basso diventa calma e stabile. Quando è calma e stabile sarà forte e regolare. Quando è forte e regolare germoglierà. Quando germoglia, cresce. Quando cresce, si ritira verso l’alto. Quando si ritira verso l’alto, raggiungerà la sommità del capo. Il potere segreto della provvidenza si muove sopra. Il potere segreto della terra si muove sotto. Colui che segue questi precetti vivrà. Colui che li avversa perirà.” (Iscrizione su pietra della dinastia Zhou, 500 A.C.)
Ho conosciuto in vita poca gente destinata “a consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”. Ieri ho incontrato due di queste persone. Arrivo a Rosà con 36 gradi e una call appena finita, trafelato il giusto. So cosa mi aspetta, ma forse non così. Sono qui per Krang, nuovo caporedattore del progetto più pazzo di Marketing Arena. Livia mi accoglie gentile e mi accompagna dal papà, Vittorio Capovilla, sono qui per intervistarlo. Con lui c’è Loris Follador, uno che nel sito della sua azienda il proprio vino lo presenta così:
“Il mio pensiero torna sovente laggiù, dove eternamente germoglia la vite, sotto la grande montagna, sulla giogaia nuda dei colli…” cit. San Venanzio Fortunato (530-600) ca.
Venanzio, uomo straordinario e letterario insigne del VI° secolo, nato in Valdobbiadene e vissuto per buona parte della sua vita in Francia, dove sarà eletto Vescovo di Tour e Poitiers.
Da lui testimonianza della vite coltivata da quindici secoli sui colli di Valdobbiadene.
Il “capo” mostra orgoglioso i lime appena giunti dai Caraibi e versa l’aperitivo: scorza, rum bianco e ghiaccio.
Questa è gente col pelo sullo stomaco, c’è profumo di storie vere e pochi compromessi. Sono in imbarazzo, devo far parlare chi il mio mestiere di marchettaro potrebbe amarlo poco. Decido di chiedere della qualità, per loro è sostanzialmente una condanna, una scelta di vita. Sono estasiato dalla potenza dell’autenticità del momento, mi stende con una frase il capo:
“Io produco bellezza, e la bellezza è una promessa di felicità”
Capovilla crea distillati di frutta, le ciliegie selvatiche che riesco ad acquistare vengono prodotte una manciata di volte in un decennio. Quegli 80 quintali di Sorbo Dell’Uccellatore che è riuscito a procurarsi frutteranno 135 bottiglie. Non c’è da stupirsi se accederanno al mercato dopo sei o sette anni di riposo. La sua grappa tabacco è semplicemente iconica, infatti le piante di tabacco lui le ha in cortile
Capovilla non è un artigiano. È un maestro. Non lo capisci dalla rarità estrema del suo prodotto, forse quella si avrebbe anche tempestando di diamanti la bottiglia. Lo capisci dalla conoscenza del prodotto, il rispetto per i tempi di cui lo stesso necessita, per la terra che lo produce e per l’assenza di scorciatoie che questo mestiere impone. Parliamo di tutto, anche del fatto che questo sapere potrebbe sparire, ma lo sapranno in pochi perché “se non ne sei stato testimone non è esistito”. Parliamo di Prosecco, di rese eccessive, ma anche della filiera che Vittorio ha risalito costruendo con Müller alambicchi ad hoc per i suoi distillati di frutta. Parliamo di prezzo, e quando capisci quanta lentezza c’è dietro queste produzioni pensi che una bottiglia potrebbe costare anche 4/5/600 euro, forse di più. Capovilla traina un comparto, ha trasformato la grappa “intesa come scarto” nel distillato, che è un alimento e non una bevanda. Circa due volte a decennio distilla le ciliegie selvatiche, è un monaco Shaolin delle bucce e degli aromi che le stesse contengono. Finiamo al ristorante, da Paeto. Paeto perché quel posto era una vecchia stazione di posta dove i mediatori si fermavano a mangiare. Al palo (il paletto)
Loris ci mette un minuto a scegliere il cibo e dieci per il vino. Optiamo per un Soave di Pieropan, da qui porto a casa due storie. La prima è l’ereticità di Casa Coste Piane e del suo reggente (Loris, appunto) che mi racconta come in terra di proseccari non sia stato facile fare un prodotto di qualità, senza i compromessi tipici di quella che sta diventando una bevanda più che un vino. E finché Aperol e Campari reggeranno, reggerà il Prosecco, ma dopo? Farà la fine del Lambrusco che ci ha messo due generazioni a ricominciare un percorso di dignità?
La seconda storia accade all’arrivo del distillato di prugna per il ràsentìn o résentìn, l’usanza tutta veneta di versare grappa nel caffè appena finito per recuperare l’aroma della tazzina e del residuo. Per far accadere questo rituale l’ignara cameriera porta questo nettare che apre con un coltellino come farebbe con un vino qualsiasi
Il capo trattiene il fuoco che ha dentro ma la ferma con garbo. Estrae un coltellino svizzero dalla tasca e come si accudirebbe un figlio apre la bottiglia. Sa di mandorla, tanto.
Esco con un senso di vergogna importante da ieri, la vergogna della velocità, delle call una dopo l’altra, del non dare alla terra e alle persone il giusto tempo. Il marketing del prezzo, distribuzione e comunicazione qui soccombe di fronte alla radicale fede nel prodotto, senza compromessi mai. Nella fede in fare ciò che piace, nel valore dell’amicizia. Ne esco migliore, non avrei mai pensato potesse accadere grazie al sommo cultore di un distillato di frutta. (da Raró ne abbiamo ancora qualcuno)
“Da Raró ne abbiamo ancora qualcuno” è la chiusa più bella che poteva esserci. Poesia del reale