Ne ho abbastanza
“Di sé, più che degli altri, non ci si libera mai” (Letizia Pezzali)
Dalle prime pagine di “Company of one” (ne parliamo settimana prossima) si intuisce che Paul Jarvis ha inquadrato un tema: nessuno ha mai messo in discussione l’idea che bisogna crescere. O meglio che si possa non crescere. L’enough, l’abbastanza, non è un tema gradito alla società, al business, al marketing. Io a un MBA a Dublino ci ho fatto 40 slide, “praise of enough”, accontentatevi.
Danielle LaPorte parla di “the Beast”, paradossalmente riferendosi proprio a quel marketing stack (bea-stack?) che solitamente osanniamo:
“she found herself busier with feeding the Beast than in taking care of her core business”.
Ma cos’è the Beast?
Un “milioni dollar website” che “requires a team of experts to manage and run it all times. Updating blog posts of products can incur in tremendous costs”. Il nostro ufficio marketing costa, le persone costano, la tecnologia costa, l’advertising costa.
Siamo bolsi, satolli. Starbucks ad un certo punto ha iniziato a vendere CD e panini perdendo l’ossessione per il proprio business principale (e perdendo soldi) . pets.com ha speso 17 milioni in advertising, fatturando 8 milioni. Una bramosia dell’ignoto data dalla possibilità (speranza) di crescita futura che ci porta fuori: fuori focus, fuori di testa.
L’idea di fondo è che l’aumento della spesa in marketing porterà dei sostanziali rendimenti decrescenti. Quel “non abbiamo un CRM” potrebbe addirittura essere seguito dalle parole “per fortuna” in alcuni casi. Perché è sempre necessario verificare che il costo di attivazione ed implementazione di una tecnologia (e del tecnologo che la pilota) siano sostenibili.
Mi sono imbarcato su LinkedIn in una discussione sul tema della produttività, dicendo quanto segue:
Come premiare la produttività?
Stamattina ho letto un passaggio che mi colpito: “Kaitlin fa in 4 ore da freelance quello che prima faceva in 8 ore di agenzia perché ha imparato a massimizzare la propria produttività”. Ora ha 4 ore al giorno libere per fare ciò che desidera.
Sto pensando che in agenzia nessuno ha il coraggio e la possibilità di dire “tu lavora 4 ore perché vai il doppio più veloce”.
Al massimo diciamo “ti pago doppio”, ma non è assolutamente la stessa cosa perché molte persone non vogliono più lavorare full time.
È un temone
#enoitracciamoleore
Anche in questo caso una visione di outsourcing di mestieri ad alto valore aggiunto e non solo di commodity è spesso almeno strana. Invece le agenzie, e gli uffici marketing del futuro, rischiano di vincere se la loro agilità farà la differenza. A scuola spesso ci hanno fatto studiare il punto di ottimo: dove risiede il punto di ottimo del marketing spending? Non è più solo un tema di minimizzazione del CPC, qui si tratta di capire se assumere o meno quel copywriter di cui abbiamo tanto bisogno o se esternalizzare ad una figura di alto profilo questa competenza, direi quindi non a ChatGPT, per ora.
Ci sono 5 domande sull’abbastanza che possono portarci anche ad una sorta di work life balance e possono forse rappresentare una guida per una ripartenza felice:
Quale è il livello di crescita che permette alla mia impresa di avere sufficienti entrate per retribuire il lavoro e produrre un utile?
Quali sono le competenze che davvero non posso esternalizzare anche nel caso di trovare fornitori senior, autonomi e di alta qualità?
Come posso impostare un diverso modo di valutazione e misurazione della produttività più legato al risultato (ROWE) e meno al tempo effettivo di lavoro?
Quanti soldi mi servono davvero per vivere?
Quali attività / prodotti / servizi / business unit hanno un effettivo impatto sulla marginalità positiva e quali invece mi fanno girare le ruote nella sabbia?
Partendo da qui, da un nuovo abbastanza, potremmo forse riorganizzare meglio tutto il nostro impianto di lavoro e soprattutto, tenere a bada la Bestia.