Modelli di business, fatica e Burger King
Tornerà la newsletter “classica”, venerdì. Qualche nota da una settimana a Dublino però mi sento di condividerla. L’amico Giulio, il Professor Buciuni, mi ha chiesto di tenere il corso di Digital Business Modeling al Master in Entrepreneurship che dirige al Trinity College di Dublino. Una figata.
Leggere e scrivere di marketing in questa esperienza è tremendamente facile, andiamo con ordine.
Il corso
Cominciamo con una cosa non scontata. Se il docente di Digital Marketing è un maestro di tennis, quello di business modeling è un maestro di sci. Le due cose non c’entrano sostanzialmente nulla. È vero che esiste una forte dimensione di go-to-market e branding, ma è solo la coda di una progettazione che parte dal prodotto per passare da pricing e modelli ben prima di pensare alla strada per il mercato, mercato che ovviamente deve esistere. Ho scelto di raccontare in 18 ore 7 modelli:
Agency
Creator
Subscription
Platform
Freemium
E-commerce
Auction
La teoria attorno a questi mondi è piuttosto solida. Lo sono anche le applicazioni ed i casi di studio: Netflix, Amazon Prime, Dollar Shave Club, Ebay, Spotify, Shopify, Salesforce, nessuno scappa da queste categorizzazioni.
Lo stile di docenza anglosassone, che ovviamente non mi appartiene, prevede la gestione estremamente diretta del feedback e un lavoro a mani in pasta sempre. La frase “Professor, I’m a bit confused, you are teaching social media but I want to learn platform” con cui sono stato accolto al minuto 10 non è stata proprio il migliore degli incoraggiamenti. Dalle idee dei ragazzi però ho capito delle cose, percorriamone quattro a caso:
Il tripadvisor delle agenzie funebri
Una palestra all in one da installare in punti strategici della città
Un social dedicato al travel in cui avere consigli da amici in una cerchia strettissima (tipo tripadvisor con la meccanica di be-real)
Un subscription commerce di prodotti di necessità per anziani
Quando 10 anni fa in H-Farm insegnavo al master in Digital Economics i problemi da risolvere erano più o meno gli stessi. I viaggi, la vita, gli anziani, lo sport. Quello che manca è una cultura dell’execution dove il business model canavas agisce come morfina per il malato. Teoricamente un master dovrebbe essere l’ultimo punto di contatto prima dell’entrata nel mondo del lavoro. Ma poi nel mondo del lavoro dove non tutti hanno fatto il master, ci ritroviamo a spaccarci la testa sui bisogni che triggerano gli utenti, su come siano fatti davvero i percorsi che gli stessi seguono, sull’analisi dei dati. Ho quindi cercato di portare qui i ragazzi, per scoprire in realtà senza stupore che non è chiaro che se usi un contatto diretto in fase di inizio di una relazione, non puoi poi usare le ads per andare a prendere lo stesso utente, cacchio gli hai appena telefonato, a cosa serve il remarketing?
In questo punto di contatto tra il modello di business ed il marketing digitale esiste a mio parere del vero valore. Che fare? Il merito di questo master è quello di costruire un ponte solido tra questi temi, probabilmente le fasi di:
Ideazione
Progettazione
Go To Market
Misurazione
Vanno esplose con metodo, lungo una journey didattica fatta di teoria, casi e sessioni di lavoro. C’è bisogno di contenuti come questo.
La città
Dublino è Londra, ma il centro è grande come quello di Padova. È una città estremamente cara, estremamente vivibile e anche estremamente problematica: homeless e dipendenze non si contano. Viverla da privilegiati è estremamente interessante, la sensazione è comunque quella che la polarizzazione nei grandi centri non si possa fermare, il peso identitario però qui è molto forte, non c’è la rassegnazione dei 49.999 di Venezia, sono incazzati neri e difendono il territorio, forse perché sono meno unici di Venezia e più uguali a Edimburgo o Londra quindi i turisti si dividono, forse c’è più spazio, forse sono incazzati anche loro.
L’aeroporto, come ho sempre sospettato, è un luogo a parte. Un hub di flussi che permette di vendere qualsiasi cosa: non per il prodotto, non per il prezzo, non per il bisogno. Semplicemente perché hackera la statistica: c’è talmente tanta gente che 200 persone una Guinnes alle 6 del mattino la bevono, trovalo tu il funnel.
Al Burger King ho provato pena. Sempre più spesso provo a immaginare il mondo come quello che non vorremmo fosse: infinitesimale come noi. C’è stata un sacco di gente prima, ce ne sarà tanta dopo se lo lasceremo in condizioni decenti. Ho visto troppa somiglianza tra noi ed i maiali in batteria, batteria che non va bene neanche per loro porco cane. Tutto troppo standard, tutto troppo rotto. E se per passare dallo standard alla decenza devi pagarti un’american express e le lounge qualcosa non va, perché lo standard dovrebbe essere decente e il lusso premium, invece il lusso è standard e il Burger King non va bene, è sotto. E non si tratta di essere snob, si tratta di capire che stiamo salvando lo 0.1% della popolazione, ed il resto lo perderemo. E sarà un casino.
I pensieri
Sono estremamente contrario al life coaching, non so neanche starmi dietro da solo. La lezione è calabronica: non dovresti volare, ma lo fai lo stesso. Per il mestiere che faccio, il maestro di tennis figurato, non avrei dovuto accettare questo lavoro, è troppo difficile, è in inglese, è troppo costoso raggiungere un livello di sufficiente preparazione per fare bella figura. Ma ho detto si perché volevo quella conoscenza, volevo non essere focus sul mio, perché alla fine citando Mourinho “Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”. E sono felice, per due motivi: il primo è che ho capito che cercando il limite lo sposti più avanti. Il secondo è molto più personale: c’erano 10 persone a spingere con me. I momenti di “sconforto” dopo l’attacco frontale della studentessa a 10 minuti dall’inizio non sono mancati, ma non si è mai visto Dybala correre fuori dal campo piagnucolando, vi svelo un retroscena: ho chiamato una pausa, sono andato in bagno e mi sono lavato la faccia. Poi ho fatto bene, credo. Ho avuto la fortuna di avere degli ospiti: Michele e Marcello di Flatmates, Clelia Mattara che ha raccontato Flee, Siro Descrovi di Dunnhummby e Simone Cesano di H-Farm. Da loro ho imparato tante cose, da loro e gli studenti ho imparato che la cultura del feedback franco è un privilegio.
Cosa impariamo
Niente. Ogni viaggio è un’introspezione, in cui pensi al passato al presente e al futuro. Ma come diceva Susana Agnelli, la risposta è dentro te stesso. Il problema è che Quelo ha riscritto questa frase come il messy middle ha riscritto il funnel. La risposta è dentro te stesso. Però è sbagliata.