Londra è di tutti, ma non è di nessuno. Se Parigi è un’iPhone, sistema chiuso ma funzionante, Londra è Android, open source ma tutta da personalizzare. Siamo di fronte a una megalopoli che per dimensione sta forse perdendo il treno dei non-luoghi con Dacca o Mumbai, ritagliandosi un ruolo che alla fine ha sempre avuto: avamposto culturale ed Alpha City per eccellenza. Un po’ come i dazi non hanno bloccato la Russia, la Brexit non ha fermato Londra. Se gli spostamenti dell’epicentro finanziario sembrano più cosmetici che reali, chi ha pagato il prezzo del distacco dall’Europa sono forse le periferie, quelle che io non vedo. Londra è ossigeno, è posto del cuore, è marciapiedi grandi e buon cibo, tutto sommato ad ogni costo visto che un Bagel a Spitafield Market costa si 9 pounds, ma è un pranzo.
Dalle scale mobili di Harrod’s di capiscono molte cose, anche col cuore pesante di chi sa che il volo British Airways del giorno dopo è cancellato, e come sempre una soluzione si troverà.
Per me Londra è sempre stata sociologia e branding, città del marketing semplice: reti da pesca per intercettare flussi che è la città stessa ad offrire. Mall rilevanti come Westfield ma anche luoghi di scoperta come Fortnum & Mason. Il gioco del giorno è molto semplice, cinque lezioni per l’azienda sotto casa, per il marketing manager:
Il customer care è il nuovo branding, ma non farlo costa caro
British Airways ha cancellato il mio volo. Ryanair me ne ha offerti quattro ad un prezzo ragionevole. Ryanair mi ha risolto un problema che British Airways mi aveva creato. A prezzi ormai così simili (forse un 20/30% in più per British Airways) a fare la differenza non è più la bottiglietta d’acqua ed il biscottino (per la verità buonissimo) che l’una compagnia dona e l’altra fa pagare. Mi aspetto un extra caring. Mi aspetto soluzioni ai problemi. Sospetto che in futuro potrà esistere una correlazione diretta tra l’alzare i prezzi e l’offrire soluzioni ai clienti, e sospetto anche che col proliferare degli agenti AI, l’essere umano che siede in un call center e si adopera possa divenire un oceano blu. Ieri un caro amico mi ha detto che l’uso di un agente AI può costare fino a 2 euro per una conversazione di 24 ore. Il costo di una conversazione con un umano costa 2,83 alla stessa azienda. Il dato è estremamente rilevante.
Il private label ed il bundling possono fare la differenza
Di Harrods e Selfridges si è detto tutto, ma si può fare un passo in più comparando il loro lavoro con quello di Fortnum & Mason. Questo ultimo punto vendita più di food che di casalinghi fa leva sul proprio brand per massimizzare i ricavi. Lo fa con pack superbi e prodotti di qualità: dal proprio champagne al proprio the. Il prezzo diventa difficilmente comparabile, per un motivo su cui torneremo: sei a casa loro. E più il pack è fatto da bundle di prodotti, più è difficile comprendere cosa e quanto stai pagando.
Sii sempre te stesso, a meno che tu non possa essere un curatore, in tal caso sii un curatore.
Il mio nuovo posto del cuore a Londra si chiama Liberty. Un vecchio atelier di tessuti che ha mantenuto quella cultura forse solo per far respirare al cliente l’allure che lo distingue. E mentre il lavoro da sarti si assottiglia sempre di più, Liberty diviene luogo di curatela di pochi brand selezionati, e di quei brand propone solo una ventina di pezzi: interessanti, rilevanti, giusti.
Le cattedrali.
Il punto vendita è una cattedrale, c’è stato forse un tempo in cui abbiamo sbagliato tutti (almeno io di certo) pensando che Intesa Sanpaolo e OVS avrebbero dovuto ripensare i propri punti vendita lasciando all’on-line l’acquisto del mero prodotto ed intrattenendo l’utente con situazioni ibride sempre più orientate al leisure. Insomma se avessi lavorato in McKinsey avrei trasformato la filiale sotto casa in una sede distaccata di Costa Caffè. Il prodotto è ancora centrale, internet ha limiti oggettivi ed è luogo di ricerca e riordino ma non riesce ancora a fornire quel “taste” necessario per stimolare l’acquisto d’impulso. Il punto vendita è attivatore del brand. Ora vi racconto una journey: io odio comprarmi da vestire. In Arabia Saudita avevo un po’ di tempo ed ho visitato un mall locale, ne sono uscito con 2 paia di pantaloni di Boggi Milano. Da oggi sono fan di quel brand e pronto a un riacquisto on-line. Il mio trigger place è stato un punto vendita arabo, vai tu a mettere in attribuzione all’on-line italiano quel touchpoint.. Il brand ha bisogno di cattedrali, soprattutto se si vuole sganciare l’utente da una community personificata o influencer based e gli si chiede di camminare sulle proprie gambe. Quando ho chiesto ai miei studenti Gen-Z perché Sephora si e Pinalli ni, mi hanno detto che Sephora ha tutti i brand che vanno virali su TikTok. Servono più influencer di brand scouting e meno di brand delivery (a proposito avete visto gli influencer finti?). Screenshot da un video di Paolo Ratto:
Il punto vendita è quindi un trigger dell’attenzione, ma è anche un luogo dove confermare che il brand è rilevante. Con buona pace dell’EBITDA.
Se hai il prodotto hai il mercato.
Torno da Zuma ogni 4 anni. Ci porto le persone a me più care, è uno dei miei segreti. So che farò bella figura. Zuma non è un ristorante stellato, ma è un bel posto. L’industrializzazione del loro Robata è gentile: cucina a vista e molti cuochi. La carta dei vini importante, ma anche alla portata di chi come me prende sempre il secondo da sotto in posti cosi. Zuma non ha una narrazione, la P di Promotion è mediamente irrilevante. Zuma gioca sulla P di Place (centralissimo) e sulla P di prodotto. Far bene queste cose basta e avanza.
Insomma Londra, val bene una messa
Grazie-tre spunti interessanti x me:
Le cattedrali del brand
Il punto vendita è attivatore del brand
Servono più influencer di brand scouting e meno di brand delivery