Non sapeva niente di Mumbai. Aveva un sogno, come molti. Come quei sogni di fuga cui tanti anelano per vendere magliette on line o piadine romagnole a Bali. Che poi perché devono andare tutti a Bali. C’è più gente li che pistacchi a Bronte. Il suo sogno era quello di scrivere un libro sui volti che incontrava sui treni, sulle barche, come quella che in meno di un’ora, qualche giorno dopo il suo atterraggio, lo stava portando ad Elephanta Island. Volti così
Veniva da Buenos Aires passando per Italia e Irlanda, una vita bella come tante, ma forse un po’ di più. E prendere l’aereo da soli è sempre un’esperienza interessante, perché anche se ti piaci (e qui siamo di fronte a uno che si piace tanto) devi parlare con te stesso, e qualche volta non puoi non starti sulle palle da solo. New York non gli era mai piaciuta, ma New Orleans si. Esponeva le sue convinzioni un aforisma alla volta, mettendo assieme pensieri che componevano un toolbox, come quello che immancabilmente propinava ai suoi studenti prima di ogni lezione. Ne aveva sempre uno, perché semplicemente li collezionava. Ci sono tante caratteristiche che forgiano le persone, ma se sei minimamente acuto e tremendamente pigro farai di tutto per minimizzare le interazioni inutili, che attiverai solo quando ne senti il bisogno. Lui era cosi, dolcemente complicato. Si vergognava. Perché dalla comodità di un volo Emirates non puoi provare altro sentimento nei confronti della tensione nell’arrivare a Mumbai. Perché lui sarebbe arrivato in un cinque stelle pagato dalla compagnia, quella che “non fece storie no, e lo credo bene” nel cantautorato italiano di Fossati. Nel mentre qualcuno non ce l’avrebbe fatta in quelle baraccopoli che per branding rispondono al nome di favelas ma se viaggi scopri essere le vijas argentine e sicuramente in India avranno il loro nome. Lo scoprirà quel nome, slam. I cani, quelli umanizzati nel suo paese di partenza che di bambini non ne fa più, qui sono un termometro del posto. Poco male, in Vietnam li aveva visti arrosti.
Quei cani erano la testimonianza di uno dei suoi precetti preferiti, gemmato dalla mente di un professore di religione che non ha mai amato. Il professore si intende. Ricambiato:
“Ognuno sta al mondo come può”.
Vantarsi di essere un arredatore dei propri inferni non è altro che un modo più cool di ripetete che “mai una gioia”, che se ci si pensa è passivo-aggressività condita con ironia. Come se le sfighe fossero di chi farà mezzora di coda in più in A4 per 2K al mese e il culo caldo sul SUV preso in leasing. C’era anche a Mumbai il SUV, il Bolero:
Le cose sono come sono, ma sono sempre diverse da come te le aspetti. Va detto con onestà, lui pensava di arrivare nel terzo mondo. Ma come puoi, si disse dandosi del cretino con lo stile narrativo di un vecchio libro di Jake Arnott, pensare che una città da 25 milioni di persone sia una baraccopoli in cui tu arriverai a star male. Sapeva che il tema non sarebbe stato nella povertà, perché il metadone di Dublino non ha un aspetto poi così migliore. E soprattutto soffriva di recente più i film delle fotografie. Questa è una città che crescerà, capì subito all’atterraggio. Era a Mumbai per insegnare marketing, non per salvare vite, perché a Mumbai la gente ha gli strumenti per salvarsi da sola. E chi non li ha non è un problema di Mumbai.
Atterrò pensando sarebbe andato tutto male, sarebbe andato tutto bene. Dubai è un’accozzaglia di vite, non gli fu difficile perdersi fisicamente tra i gate B e C (distanti mezz’ora) e metaforicamente in quello schermo che presentava destinazioni esotiche: Tokyo, Calcutta, Tel Aviv, Dubai ti porta dove vuoi. Il volo Dubai - Mumbai cambiò le carte in tavola: un po’ la tensione, un po’ la notte, un po’ l’essere in minoranza dove tutti sono diversi da te: le scarpe chiuse le avevano davvero in pochi. Sicuramente comprate su SNKRS nella raffle le aveva solo lui, per sfidare Veblen, per lo Stealth Wealth. Colpi di tosse, un non divertente russare di umani. Umani che si muovono per lavoro, vita, esistenza. Forse resistenza. La scritta “Prof. Giorgio Soffiato” lo inorgoglì. Di certo chi lo attendeva non si aspettava un disperato in maglietta che aveva dormito poco. Ma forse chi lo attendeva aveva problemi più grandi. Il primo pasto, ovviamente codardo. Forse come lui. Un KFC, ma con la salsa Tandoori (Masala). Uno scrutatore non votante, la copia di mille riassunti.
Avrebbe imparato in fretta che col Masala non si scherza. A Mumbai il pollo al curry non lo conosceva nessuno. Cominciarono le aule: Maria Carmela, Deborah, Mirella, l’Italia che serviva per rendere comfort quello che di per sé faticava ad esserlo. E poi la domenica, la gita. Fu subito tutto chiaro su questo paese: dignità, futuro e sicurezza. Agli occhi dei bambini che battono sul vetro dello scassato Uber non si abituerà, neanche alla ragazza che distoglierà lo sguardo dal suo per una inadeguatezza imposta da secolarizzata cultura ma non riscontrabile in alcun fatto reale. Distribuirà 100 rupie solo per espiare i suoi sensi di colpa. L’umanità è tanta. L’influenza della religione fortissima, ma tutto ovattato e sbagliato nei preconcetti che ospitano l’esotica India. Le Indie, perché di questo si parla. Era qui per le storie, se lo ripetè quasi subito. Non quelle che raccontava per lavoro, quelle che voleva intercettare. Ed anche l’essere colpiti dalla dignità era tutto sommato una forma di arroganza, come se l’umiltà cui la vita ti costringe fosse una cosa da ammirare fuori da uno zoo. Perché nessuno si preoccupò di patriarcato quando al suo arrivo si alzarono in piedi le guardie per un saluto deferente, neanche fosse in arrivo il generale Pinochet. O quando dovette chiedere, per poi desistere, al collaboratore locale di non girargli il caffè, lo avrebbe fatto da solo. E molti chiedevano le foto, non perché lui fosse famoso, ma perché loro non avevano mai visto un europeo fatto così, o forse perché questa partita delle caste era chiusa, ma non del tutto. Piano piano cominciò ad esplorare il territorio. Qualche ristorante, qualche mall. Venti minuti di Tuk Tuk, meno di un euro.
Ci si ambienta a Mumbai, come ci si ambienta ovunque. E come quella volta in cui esplorò con Francesco l’Australia guidando da Melbourne a Sidney, si chiede se esista o sia esistito un autobus che porta a Londra. Un autobus che non prenderà, perché lo scrutatore non votante si informa ma non agisce. Quel bus esiste, sono 20.000km in 70 giorni, che poi lui ne aveva fatti 6.900 con Francesco (sempre lui) e Federico per circumnavigare Spagna e Portogallo a bordo di una Kia Carnival. Indimenticabile. Mumbai te la rivelan gli occhi e le battute della gente, ma la sensazione è che questo posto sia timido. Non esiste la cultura dell’interruzione all’italiana, ognuno sta nel suo. E la cosa drammatica è che “il tuo” può anche essere una posizione non agevole. E come in borsa time is better than timing, qui va detto che di vite e reincarnazioni per espiare le proprie colpe ne hanno 7, e non sanno minimamente in che vita siano, noi dobbiamo arrivare ai conti col creatore con le sottrazioni a posto, un po’ come il bilancio che nessuno riusciva mai a chiudere a ragioneria. E vai di ratei, risconti e svalutazioni del magazzino. Al rumore non ti abitui
La cosa davvero difficile da descrivere non è l’assurdo vociare di tutti i mezzi di trasporto del mondo messi assieme. È il fatto che dopo un po’ comprendi che usano il clacson come un sonar, tipo i delfini. Siamo di fronte a un modello 3D in cui alla vista si affianca l’udito per usare più spazio, tutto lo spazio disponibile
E il cacciatore di storie? Sempre li. Stanco e immobile. A discutere di temi cui in realtà crede ogni giorno un po’ meno. Perché se nasci etnografo non puoi morire link builder per la SEO. Cosa gliene fregava ai suoi studenti e “connazionali per otto giorni” di Zepto, quando Harvard Business Review aveva scritto addirittura un caso sui Dabbawalas, i food delivery che fanno quello che fa Deliveroo, ma senza l’utilizzo di alcun tipo di tecnologia
Vendono anche un tour. Deve essere una cosa che funziona più o meno cosi: tu lasci il cibo a casa o a qualcuno in zona. Ad una certa ora, quando è pronto, quando è ora, il Dabbawala te lo porta. Per capire perché, bisogna approfondire. Il punto è che il cibo arriva caldo, fatto dal papà, marito, mamma, moglie, zio. Erano queste le storie che voleva lui. Quelle che non avrebbe mai raccontato. E il marketing? Aveva tentato un acquisto da Lenskart, 12 euro per una montatura bella. Royal Enfield era uno dei brand di riferimento
Ma non l’aveva ancora vista davvero Mumbai. O Bombay. Un luogo che il cambiamento climatico rischia di veder scomparire nell 2050, come cantato nell’omonimo Podcast di Trincia. Bisogna salire per due ore in Tuk Tuk per capire di più. Lo fece. Diretto al tempio Hare Krishna Iskon - Juhu, ormai troppo lontano dalla religione per non ritenere parzialmente caricaturale quella ritualità, ma estremamente colpito dal misticismo collettivo che quei rituali evocavano.
Era un formicaio. La sensazione era quella che l’unico modo per organizzare 25 milioni di persone fosse lasciare che si organizzino da sole. La municipalità o lo stato, chissà come erano strutturati, il suo mestiere lo stava facendo: metro, infrastrutture, trasporti. Ma nel frattempo il mondo andava avanti.
Non sarebbe tornato cambiato, ma più consapevole si. Perché l’unica storia cacciata alla fine, sarà stata la sua. Cacciata da quei volti così diversi ma anche cosi buffi nel sorridere quando l’uomo che viene da lontano ricordava loro che nessuno in Europa muove la testa in un modo almeno strano per dire “ho colto il concetto”, o quando con loro cercava di capire perché ci fosse una persona nei supermercati pagata solo per apporre timbri agli scontrini.
Il viaggio a questo punto prevederebbe la sua partenza, taccuino alla mano. Magari sarebbe andato a Varanasi, poi in Nepal, per vedere se passando dal Bangladesh qualcuno lo avrebbe aiutato ad andare in Bhutan, e poi in Cina, cosa ci sarà a Meiduo sul lago Namuco? Forse niente perché se lo chiedi a Google ti esce uno scooter, peccato che quello scooter sia la copia esatta dell’Honda CN con cui suo padre lo portava in giro da piccolo. Magari un giorno lo ricomprerà.
Era ora di tornare a casa, con una valigia di ciondoli e un foglio di via. Quella casa dove ti aspetta chi ti ama davvero, quel luogo dove le abitudini di un abitudinario possono sfogare nella serenità del prevedibile. Il luogo dove scrollarsi di dosso quella solitudine che alla fine è quello da cui scappiamo davvero, da cui scappa anche chi è in mezzo alla gente ma è solo
Una cosa avrebbe provato a lasciarla giù da quell’aereo che lo riportava a casa. La convinzione assoluta di avere certezze. La sensazione che aveva era quella di arrivare da Buenos Aires, non da Venezia. Sicuro della condanna a viaggiare, deciso ad alimentare il fuoco della distanza non solo per vivere l’emozione del ritorno, ma perché semplicemente spesso il viaggio conta da solo, perché conta il viaggio più di dove vai. E qui voleva lasciare l’avere in tasca le soluzioni, perché se hai sempre le soluzioni o sei una persona arrogante o stai giocando partite che già conosci. Il viaggio, la scoperta, la cultura, la conoscenza sono condanne che non si scelgono. Anche pensare lo è. Ma aveva voglia di tornare per fare quadrato attorno a chi aveva disegnato per lui, attorno a chi aspettava a casa, aspettava lui senza chiedere niente in cambio. Sarebbe tornato senza pagine, senza scrivere ma scritto. Senza analizzare ma analizzato. Aveva scritto di sé, dell’unico volto che in qualche modo conosceva, e neanche troppo male. Il suo. Non avrebbe avuto il coraggio di dirigersi a est, la narrazione di una valigia grande e un treno sporchissimo, il non avere meta come meta. No, queste cose non facevano per lui. Sarebbe tornato dalle sue certezze. Il maestro di tennis, Diego e il Gallo sabato alle 2. Le fughe ad Albarella per camminare da solo.
Non puoi proprio respirare a pieni polmoni a Mumbai. Perché muori. Ma respira questa libertà è una frase vera. Perché Mumbai ti spiega senza chiederti se può, che il tuo spettro di pensieri, per quanto grande sia, è minuscolo. È te lo spiega senza sbatterti in faccia le convinzioni di un paese che fa baccano come quello che si era raccolto contro il biancoceleste Milei davanti ai suoi occhi. Qui gli occhi delle persone dicevano tutto, ma non c’era rassegnazione. C’era la vita. Tanto diversa dalle nostre, ma tutto sommato un mistero che sarebbe valso la pena condividere.
Il suo taccuino sarebbe rimasto vuoto, ma alla prossima partenza, l’avrebbe avuto ancora in tasca.
Sono stata in India per lavoro anni fa. Il tuo racconto mi ha ricordato l'effetto che aveva prodotto in me: una ventata di aria bollente addosso. L'India è come la scena violenta in un film in cui il volume è basso, bassissimo. Un viaggio in India farebbe bene a tutti, per un sacco di ragioni, compreso il risultato di sentirsi (io almeno) più felici ed ironici riguardo alla vita.