“E dopo maiale, Majakovskij, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto” (Fabrizio De André)
La vigogna, o vicugna vicugna, è un camelide artiodattilo andino. Incontro Michele, VP di Kiton, all’Hotel Cristallo di Rovigo. La storia dei suoi Levi’s presi a Tokyo me l’ha già raccontata, ma lui è così, si dimentica. È l’ultima intervista di un libro che mai forse vedrà la luce, o forse si: sono troppo colpevole verso l’editore che lo attende da tempo. Ma sta venendo bene. Michele è uno dei pochi veri conoscitori di fenomeni come il Gorpcore e delle nuove estetiche della moda. È anche un amico. L’ora di tennis è stata vuota per 2 settimane, lui a Miami a ballarsi la fresca (scherzo, per lavoro) io in India a decifrare Mumbai. Dell’intervista lascerò uno spunto. Non mi aspettavo sarebbe andata così. Michele è ossessionato dal targeting, mi ha molto colpito il suo approccio analitico tipico del General Manager prestato al marketing (infatti lui fa il VP, mica il CMO). La cosa più potente che mi ha lasciato è un sorriso quando abbiamo nominato la parola User Personas. Michele ha detto semplicemente “non possono essere tre, devono essere trecento”. Mi dice che il problema dei direttori marketing a suo parere è che provano a segmentare il proprio pubblico in un tempo in cui l’utente è davvero difficile da ficcare in un cluster. A che User Persona corrisponde il cliente del cappotto in coccodrillo e vicuna bianco che costa 400 mila euro? Forse ad una, ma dentro ci sono 5 umani veri. Non di più. Che poi per chi ha 30 mila prospect nel mondo, magari non serve il CRM, basta excel. Sono davvero concentrato sul chiudere a schiena dritta il libro, ma una cosa una vorrei condividerla.
Sono stato in India con una Prof della Bocconi brava, si chiama Deborah Raccagni. Deborah è una docente pragmatica, una giusta. Abbiamo impostato un lavoro in cui io dovevo adeguarmi ad un metodo ben consolidato, che mi ha permesso di spostarmi dalla mia visione di processo del Digital Marketing ad una più di “fasi” che corrispondono in qualche modo al funnel o messy middle. Sostanzialmente mentre io dico:
Analizza utente e mercato
Definisci gli obiettivi
Setta sito web e CRM
Fai le fette della ruota del digital marketing
Disegna le automazioni e la digital marketing strategy
Misura
La visione di Deborah è più legata a: prendi le fasi del funnel e per ognuna ragiona sulle campagne che ci stanno dentro, le tecnologie e le piattaforme. L’idea di unire queste due visioni è stata la mia sfida sull’aereo di ritorno da Mumbai. Ne è uscita una bozza di modello che per quanto migliorabile ha a mio avviso delle potenzialità, a voi:
Si tratta di un modello da costruire di volta in volta e metto le mani avanti: fa alcune assumption forti, è molto digital oriented e la cosa delle generazioni è da aggiustare. Però:
Assume esista un modello “user based” che considera le fasi del buyer journey (sono spiegate fantasticamente qui)
Prende funnel e messy middle come modelli “company based” della stessa vista, il processo d’acquisto, e li mette in riga.
Qui comincia il lavoro del marketing manager, infatti l’immagine è solo un esempio. Per ogni fase del messy middle / funnel vengono utilizzate delle leve, ad esempio i motori di ricerca
Incrociando i motori di ricerca con la fase della buyer journey individuo un touchpoint della customer journey, ad esempio la SEO. Quindi l’utente conscio di un pain o problema usa i motori di ricerca. L’azienda lo sa e “fa SEO” (o meglio Search Marketing)
Ogni touchpoint può essere organic o paid, vive su una piattaforma (google / bing) ed ha dei KPI di riferimento
La mia idea è che un modello visivo di questo tipo aiuti il marketing manager a comprendere la complessità delle proprie journey e ad ipotizzare un piano di marketing che possa aiutarlo a costruire budget e measurement plan. Non è ancora pronto, ma a mio parere è uno spunto neanche male.
Forse il cappotto di Vicugna rappresenta l’esempio peggiore per mappare una journey (che non sarebbe di certo come quella nell’immagine), ma la prova di sforzo che vorrei fare con il lettore è legata alla tenuta del modello. Se lo stesso regge, avremo trovato un framework per mettere al lavoro la journey incrociando una vista utente e una vista azienda. Mi preparo a martellare l’uovo di Pasqua e a chiudere il libro con questa “intuizione” e con l’idea che serva un po’ di accademia e teoria per fare meglio la pratica. Sono euforico rispetto all’idea che due aziende giganti dopo aver condiviso il framework su Linkedin mi hanno chiesto di montarci sopra un canvas e un workshop per metterlo alla prova, non so se accadrà. La sorpresa di Pasqua, da queste parti è fatta a journey.
Ce lo meritiamo un framework nuovo il giorno di Pasqua? Si.
Ciao Giorgio, il modello è molto interessante, due pensieri ad alta voce:
- valorizzare i creator (che penso siano dentro ‘live on social ‘)?
- rimarcare anche il website nell’exploration?