Hotel Pistachio
“Whoever is careless with the truth in small matters, cannot be trusted with important matters” (Albert Einstein)
In una intervista di Sally Hogshead con Marie Forleo, la prima ha parlato della tendenza delle grandi aziende ad essere “il gelato alla vaniglia del mercato”, qualcosa di universalmente accettato ma blando, insipido. Al contrario, il pistacchio o lo ami o lo odi, ha personalità, polarizza.
Quando Matteo Toresani mi ha invitato per una chiacchierata all’Olympic SPA Hotel in Val di Fassa ho capito di aver trovato un brand al Pistacchio
Svelerò i numeri che posso, opportunamente camuffati. Sciatori sotto il 50% della clientela, ben al di sotto. Un Adult Only Hotel che punta al benessere e allo sport come driver per l’esperienza cliente. Un’esperienza che è progettata nei minimi particolari, paradossalmente “quasi troppo” perché nulla è lasciato al caso, a tal punto che il caso non succede mai. Questo hotel, che ha vinto il programma di Bruno Barbieri, trasuda tutta la transizione da modello familiare ad azienda strutturata e orientata al management. La cosa che più mi ha colpito è stata la coesistenza di un’esperienza relax di quelle che ti aspetti nelle colline toscane (ormai tutte un po’ uguali) o all’inarrivabile Relais San Maurizio (o Lefay o Quellenhof) con la mezza pensione che tutti i clienti vogliono, la cena ladina il mercoledì sera, il programma della settimana, ma soprattutto tutta la famiglia al lavoro sul campo.
La gestione di un hotel come questo non può essere lasciata al caso: delle 40 camere quasi metà sono ristrutturate e disegnano un nuovo tipo di esperienza, che lascia spazio a vacanze più mordi e fuggi “iper a target”. È qui che si può:
fare una proposta di matrimonio in una “water villa maldiviana”
decidere di vivere un’esperienza di detox, fisico o digitale
recuperare da un infortunio tra massaggi ed una olimpionica (la nipote del titolare) che guida gli allenamenti in palestra
Matteo e la proprietà vanno contro corrente, e sfidano quei problemi culturali e strutturali, ecosistemici, che mai consideriamo abbastanza. Quali? I tedeschi, in Val Di Fassa, non ci vanno. Si dice che il Trentino abbia messo un sacco di soldi su quel mercato e che i punti % di nuovi turisti tedeschi che si è riusciti a spostare con le campagne di marketing siano ben pochi. Piaccia o meno, i tedeschi vanno in Alto Adige. E qui emerge la bellezza di tre parole dure, che è però quella da cui un marketer non può scappare: vendere le camere.
Matteo è il CFO, ed è anche il sales manager. Ed è anche il marketing manager, ed anche il communication manager. Queste cose le fa bene, ma fa 4 lavori. Come coprire quel gap che porta al miraggio di un’occupazione media al 90/95%? Due temi:
Il marketing spending ideale
Il bilancio che il commercialista deposita è una cosa piuttosto semplice: al di la di ammortamenti e oneri, ricavi e costi danno l’utile. Ho sempre pensato che qualsiasi cosa possa produrre utile, debba produrlo. Mi spiego: facciamo finta che Matteo abbia a disposizione il 15% delle camere libere durante l’anno. Sono 2190 notti libere. E facciamo finta che il prezzo medio di questa notte sia di 100 euro. Sono 219.000 euro (di fatturato). Queste camere costano il 16% diretto per il semplice fatto di essere o meno vendute (costi di adv), quindi il fatturato va decurtato di 35.000 euro, cui di sicuro vanno aggiunti dei costi emergenti (scaldo una camera che non scalderei). Ma anche mi rimanesse un 20% puro, siamo di fronte a 43.000 euro di utile che posso tenere in tasca o magari, investire in marketing.
Qua nessuno è fesso, per riempire quel 15% basterebbe un price killing importante. Ma come ci siamo detti il brand va coccolato, e agire sul prezzo non ci piace. Al tempo stesso lo sappiamo tutti che lo Chalet Al Foss su Instagram spacca tutto, ma se sapessimo disegnare degli outliers a tavolino, beh probabilmente non scriveremmo le newsletter. Quindi, olio di gomito e 4P.
Se consideriamo il prezzo una rigidità, giusta, dobbiamo agire altrove.
Il (conseguente) piano di marketing
Promettendo a Matteo di aggredire quei 43K di utile, magari usandone il 50%, possiamo aggiungere una freccia al nostro arco, cercando in quello che le aziende solitamente fanno ancora così così:
posso ad esempio decidere di entrare duro su un nuovo canale (es. Tik Tok, dove oggi dire ROAS sembra non essere più una bestemmia)
posso puntare su un iper targeting e i micro trigger, quindi ad esempio vado a prendermi “i teslari” con una campagna ad hoc loro dedicata, o il mercato dei single, in grande crescita
posso puntare a fare un po’ meglio quello che già faccio, mettere a sistema l’influencer marketing o le campagne
Insomma il branding pistacchio sta nell’identità, nella cultura e nelle scelte aziendali. Ma il gelatiere, la coppetta e i flussi che il punto vendita attira vanno progettati. Lo spazio c’è sempre, bisogna solo mettersi al lavoro. La differenza tra un fuoriclasse fatto e finito ed un fuoriclasse potenziale sta a mio parere nell’aver fatto i compiti per casa ma soprattutto nell’aver messo un recinto all’oceano blu che si è individuato. Buon venerdì, torno a caccia di pistacchi.