Essere Fedro
“Il linguaggio è lo strumento principale del rifiuto dell’uomo di accettare il mondo com’è” (George Steiner)
Il 4 agosto, nessuno ci obbliga a parlare di marketing. Infatti non ne parleremo.
Raramente parlo di libri che non ho finito, ma “lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsing ha scavallato tra le mie mani quel tipping point che mi fa dire con discreta certezza che entro sera sarà finito. Ci sono due frasi che spesso porto con me, la prima è di Tomas che una volta mi ha detto “io non ho paura di essere bravo”, la seconda è raccolta da qualche parte nel mondo dello sport e suona più o meno “se mi analizzo mi deprimo se mi confronto mi esalto”. Spesso entro in azienda e lancio ai miei un “che scarsi che siamo”, proprio per sentirmi rispondere “per fortuna che gli altri sono più scarsi di noi”. Non è un modo per svalorizzare il team (sia mai, al tempo della GenZ dei fiocchi di neve), è un modo per ricordarci che di strada da fare, davanti a te, ce n’è sempre. Prova tu ad essere Murray e farti 12 anni con davanti Nadal e Federer, destino che forse toccherà a Sinner con Alcaraz (e pensare quanto rosica CR7..).
Fedro era molto isolato. Non mi risulta che avesse amici intimi. Viaggiava da solo. Sempre. Era solo anche in mezzo agli altri. La gente a volte se ne accorgeva e si sentiva respinta, per cui non provava simpatia per lui, ma questo non lo toccava. Sua moglie dice che chi cercasse di vincere il suo riserbo si trovava di fronte a un muro. La mia impressione è che la sua famiglia fosse assetata di un tipo di affetto che Fedro non diede mai a nessuno. Nessuno lo conobbe mai veramente. Probabilmente lui voleva che fosse così. Forse la sua solitudine era il risultato della sua intelligenza, o forse ne era la causa. Comunque l’una era inscindibile dall’altra. Una misteriosa intelligenza solitaria.
Fedro è impazzito, gli hanno fatto una specie di TSO con gli elettrodi per quanto è impazzito. È ovviamente il personaggio del libro, un docente universitario talmente ossessionato dalla ragion pura della qualità da lasciare tutto, da uscire pazzo dalla bramosia di perseguirla, scoprirla, forse definirla. Scrivere della qualità è difficile, farla è una grande sfida.
La qualità è lo stimolo continuo con cui il nostro ambiente ci spinge a creare il mondo in cui viviamo
Il punto è che oggi per chi fa il nostro mestiere è facile svicolare la qualità. Ce ne sono mille esempi, la no-code economy genererà codice abbastanza pulito, performance max farà campagne abbastanza puntuali, l’AI produrrà testi abbastanza interessanti. Perché nel duello tra la scala delle startup (fanne fallire 9 tanto una paga tutte) e il maestro vetraio abbiamo scelto la scala. Dovevamo produrre un nome figo, l’abbiamo trovato in Growth Hacking. La qualità non ci interessa più perché l’accountability* è venuta meno. E non si tratta di elogiare l’abbastanza, si tratta di accontentarsi della merda.
Perché il marketing soprattutto ci porta qui:
Nessuno è bravo o attento o disponibile abbastanza per controllare davvero
Abbiamo fatto cartello attorno alla scarsità
La qualità costa troppo, allora ci siamo inventati che è arte
Voi la conoscete Accurat? Neanche io. Però ad un certo punto la gente figa resta nella nicchia, condannata magari non a guadagnare poco ma a impattare il giusto, a ricordarsi ogni giorno che tra ricco e famoso, io voglio essere giusto.
Il nostro mondo si è portato via la nostra vita perché lavoriamo e basta, poi viviamo stanchi. Se anche quella parte produce output di merda beh, dobbiamo farci un ragionamento.
Nessuno si merita una deriva nichilista il 4 agosto, quindi viro tutto questo ad un caveat (che l’autore chiamerebbe chautauqua): il nostro mondo ha bisogno di un nuovo movimento fatto di qualità, bellezza e gentilezza. Non succederà, ma è bello ricordarselo.
C’è da impazzire, come Fedro.
*Accountability is an acceptance of responsibility for honest and ethical conduct towards others. In the corporate world, a company's accountability extends to its shareholders, employees, and the wider community in which it operates. In a wider sense, accountability implies a willingness to be judged on performance.