Dirty Marketing
“What I find is that you can do almost anything or go almost anywhere, if you are not in a hurry” (Tony the beachcomber)
Negli ultimi giorni ho lavorato per una business school ed un cliente importanti. Davanti a me gente vera, che deve vendere. Roba B2B, di filiera, internazionale, prodotto. Insomma non un corso on line, che non è meno difficile da vendere ma ha un flusso più corto. Non un’assicurazione auto, che intercetta una domanda palesata. In questa arena, il docente diventa consulente e lo studente cliente, è difficilissimo. Il punto è che sta roba (ci abbiamo costruito un osservatorio) non segue le dinamiche di marketing “normali”, ma vive una supply chain fatta almeno così:
Il sales manager deve vendere, chiede quindi un Demo Day in Germania in cui il Dealer mostra al Retailer il bello del prodotto. Per lui il digitale è roba di secondo miglio: faccio un video al Demo Day. Ma poi scavi, e scopri che dietro il cuore duro del sales manager si nasconde l’animo tenerone del marketer. C’è una grande verità, forse persino buffa: ogni prodotto serve a qualcosa. Il passaggio mentale da prodotto a qualcosa è forse l’essenza finale del marketing.
Vorrei unleash di più di questa lezione che meriterebbe di essere open source per l’impegno messo, però posso dire che a un certo punto ci siamo avventurati su un campo da golf, ed abbiamo capito che prodotto serviva a aumentare la sostenibilità del campo da golf stesso. Siamo partiti duri, malissimo, ecco i desiderata:
Primi su Google per la keyword Golf
Landing Page e sponsorizzazione di un evento golfistico
Abbiamo finito trionfali, con la pubblicazione di un e-book sul miglioramento della customer experience nei resort golfistici (vendi il buco) che permetterà di spiegare come il prodotto possa essere driver di questo obiettivo (non il trapano). Un asset inbound che poteva essere un webinar, un calcolatore o qualcosa di simile, utile per costruire un pubblico più ampio rispetto al vero target interessato:
Esiste uno schema concettuale che a Marketing Arena portiamo con noi:
Tra il serio e il faceto lo chiamiamo “lo schema di Facco”. Subito diapositiva di Facco:
Lui vi guarda, sornione. Prima di leggere lo schema di Facco dovete leggere questo.
Here are the five stages of awareness.
Unaware: A person doesn’t know they have a problem, and it’s usually not worth marketing to them.
Problem Aware/Pain Aware: A person knows they have a problem, but doesn’t know there are solutions to that problem.
Solution Aware: A person knows there are solutions, but hasn’t chosen one and doesn’t know about your product.
Product Aware: A person knows about your product, but isn’t totally sure it solves their problem.
Most Aware: A person knows a lot about your product. They are on the cusp of buying, but need to know the specifics.
L’incrocio della domanda, palesata o latente, e della brand awareness, alta o bassa, ci porta all’utilizzo di diverse tecniche di marketing. Se lavorare in un contesto di domanda latente e bassa brand awareness (ho un prodotto commodity e l’utente non sa di averne bisogno) è quasi impossibile, al crescere di una delle due dimensioni cambiano le nostre strategie. Se la domanda permane latente ma la notorietà di marca è alta (come nel caso di cui sopra) posso lavorare con Inbound marketing e lead management. Se invece ad essere palesata è la domanda ma il branding è basso, dovrò lavorare sul lungo periodo, investendo in brand awareness. Ho ripreso in tal senso un passaggio di un articolo troppo ignorato per essere vero:
Many marketers confuse the long and short with tactical absolutes. They ask which media are superior for short activations and which ones are for long-term branding. This is the wrong approach. Because while some media suit one end of the sausage over the other a little more, any medium can serve either master, or both.
Non è il canale ad essere TOFU o BOFU oriented, il canale può lavorare per tutti gli obiettivi. Il caso forse più bello è quello di una domanda palesata e una brand awareness alta, in questo caso fiato alle trombe del direct marketing e della lead generation.
Non posso dire che mi abbia stupito il fatto che per alcuni manager (soprattutto sales) queste dinamiche non siano chiare. Era il 2018 quando BCG parlava della costruzione di un demand center per la qualifica del lead, ma non importa. Quello che preme sottolineare è che la costruzione di un impianto strutturato di marketing non passa dall’attivazione di uno stack che vede più o meno sempre quelle leve coinvolte. Passa invece dalla comprensione del bisogno dell’utente, della struttura della domanda e dei trigger che la attivano. E solo dopo, magari guidati da uno schema come quello sopra, si lavorerà il marketing mix. Buon venerdì.