Come l'aglio nell'olio 📻 [Guest Post]
“Angela, questo è un mondo di merda
Non per quello che fai
Non per quello che sei” (B. Antonacci)
Conosco Angela Barison da quando AKQA era H-Art ed Internet era un posto più bello (forse Riavviare il sistema di Valerio Bassan è il libro più completo sul tema, Exit Reality di Valentina Tanni il più antropologico). Angela è persona del fare, sicuramente una delle persone che vorrei nei Navy Seals del digital se questi si contassero sulle dita di una mano, una numero 10. Siamo riusciti a portarla al B2BDay di Venezia, Angela ha parlato. Poi ci ha fatto un regalo, ha messo per terra una serie di su Linkedin, le ho chiesto di poterle riportare, un privilegio raro.
Di Angela Barison
All’inizio del mese di Giugno ho avuto il piacere di partecipare ad un evento in Ca’ Foscari, dando il mio contributo in una tavola rotonda, in cui il buon Giorgio Soffiato preparò qualche domanda per fissare alcuni punti sull’evoluzione ed i cambiamenti nel Marketing B2B2C. All’interno di quel contesto, il tempo per la risposta era abbastanza contingentato: scelsi, quindi, di soffermarmi su alcuni degli aspetti più narrativi e, dal momento che faccio parte di quella generazione di Marketer che ha vissuto l’epopea del Cluetrain Manifesto, con il mantra de “I mercati sono conversazioni”, la progressiva crescita di, prima Google, la Search, la SEM, la SEO SEO is dead, long live to SEO, poi i trending topics di Twitter (rip), le stanze di Friendfeed (rip), le cerchie di Google+ (rip), l’acquisto degli spazi online (caro vecchio ed ancora vivo banner), e successivamente con Meta, le prime pagine, i primi gruppi e la monetizzazione delle conversazioni, le pianificazioni audience sempre più raffinate, ed il marketing mix abilitato dalla tecnologia da un lato, e frastagliato come pianificazione dall’altro, beh - come potrete immaginare - non è stato difficile raccontare ciò che ho vissuto.
Eppure, quel susseguirsi incalzante di canali-touchpoint-formati ha continuato a frullarmi nella testa per giorni. Così, oggi, con più calma e maggior disponibilità di tempo (mio e di chiunque stia leggendo), vorrei soffermarmi su un istante preciso: quello dell’inizio della trasformazione delle competenze nei dipartimenti di marketing grazie - anche - al progressivo trasferimento di know how che c’è stato nel rapporto tra Industria di Marca e Industria Creativa (Agenzie, Centri Media, Grandi Network).
In un primo periodo (in modo arbitrario, indicherei quell’arco di tempo che va dalla fine del boom della dot-com economy al 2010), il Digitale, per lo meno in Italia, era visto come un set di competenze squisitamente tecniche e specialistiche, perciò prevalentemente in carico alle agenzie. I dipartimenti marketing chiedevano “ma quante persone sono su Facebook in Italia? Sicuri che queste siano le cose da fare?” e si sentiva l’elettricità della fiducia che veniva scaricata come una scossa da una parte all’altra del tavolo delle riunioni. Le agenzie avevano i software per l’ascolto della rete (forum, blog, profili pubblici) e trasferivano gli insights più rilevanti per costruire social o content strategy o gestire delle piccole o grandi crisi (ed i più pionieri parlavano di Customer Relationship aumentate dal Social Listening). Le agenzie avevano le competenze, le agenzie avevano i contatti con i Big Player, le agenzie parlavano direttamente con Google o con Twitter, le agenzie avevano la Conoscenza.
Progressivamente, da un lato con l’aumento della Digital Audience (consideriamo che Audiweb a Maggio 2024 evidenzia che il 76% della popolazione italiana, quasi 45 milioni per quasi 3 ore al giorno navigano su Internet - nel 2010 erano la metà, circa 20 milioni, e comunque le aziende avevano bisogno di essere rassicurate sui “Nuovi Media”), dall’altro con l’internalizzazione progressiva di competenze specifiche, il rapporto tra le parti si è evoluto.
Se apriamo un qualsiasi organigramma nel 2024 e lo confrontiamo con un qualsiasi altro del 2010 possiamo notare come, l’attuale composizione dei dipartimenti marketing abbia acquisito nuove dimensioni. Al fianco del Product Marketing Management ora potrebbero esserci dal Martech (abilitante per il coordinamento, lo sviluppo e l’integrazione delle nuove tecnologie), alla Comunicazione Integrata (necessaria per progettare esperienze che non considerino i Social Media o il Retail Media ancora un silos), dalla Data Science (il mondo dell’analisi e della ricerca è tra quelli che può essere maggiormente accelerato dal machine learning) al Design, senza dimenticare il Media Planning.
McKinsey in questo suo modello, recupera il famoso concetto del T-Shaped (l’articolo completo è disponibile qui) ed identifica quelle che sono le capabilities per un “Modern Marketing”. L’immagine è semplice e chiara: la prima volta che l’ho guardata ho pensato “ma sì certo, anche se ogni volta che leggo full-funnel sento un brivido al braccio, comunque nel suo complesso è completa”.
La questione che, tuttavia, mi interessa maggiormente dirimere è la seguente: se si sta fondando un’azienda from scratch, è probabile che si riesca a creare i processi in modo tale che un dipartimento Marketing possa funzionare, ad esempio, con un modello operativo agile e con tutte le altre sfaccettature evidenziate nel modello McKinsey.
Ma se l’azienda esiste già? Magari da 20, 30, 50 anni? E se i processi su cui si desidera operare la trasformazione sono anchilosati?
Se guardiamo al report dell’Osservatorio B2B presentato durante l’evento di cui sopra (si può leggere qui), la realtà che emerge è che tra le aziende italiane intervistate, abbiamo praticamente un 50%-50% di risposte alla domanda “La struttura della funzione Marketing è cambiata negli ultimi anni” : il 46% dice sì, il 54% dice no.
Mi piacerebbe intervistare quel 46% di aziende che hanno intrapreso un percorso di cambiamento nel Marketing e chiedere cos’è accaduto.
Avete inserito nuove risorse con competenze tecniche per canale?
Avete riorganizzato i vostri processi dopo averli analizzati?
Avete implementato un nuovo stack tecnologico?
Avete aperto un e-commerce?
Avete ri-organizzato il budget di spesa tra Sales e Marketing?
Avete aiutato l’organizzazione a cambiare mindset ed il concetto della Customer Centricity si è trasformato in People Centricity ed ora si applica ai collaboratori, ai fornitori e ai vostri clienti (aziende, partite iva o consumatori che siano)?
Avete creato un programma di Sostenibilità?
Avete aggiunto un purpose alla vostra mission?
Avete un nuovo processo di innovazione?
Avete fatto un assessment di ciò che eravate e l’avete confrontato con ciò che vorreste essere?
E potrei andare avanti all’infinito, perché la linea che possiamo tracciare dal T0 della pre-trasformazione al Tn della trasformazione avvenuta è composta da infiniti punti che, tra l’altro, non è detto che giacciano tutti lungo la stessa direzione.
Una delle cose che più mi attira, quando si parla di trasformazione delle organizzazioni, è quel lento ed inesorabile processo che porta al cambiamento.
Gutta cavat lapidem, direbbe la mia Prof. di latino al Liceo, ma per essere più contemporanei potremmo far riferimento al climate change: man mano che si evolve, oltre ad accelerare alcune condizioni, cambia costantemente il suo stesso contesto di riferimento (qui).
Ecco, la trasformazione delle competenze nei dipartimenti marketing ha subito un’accelerazione a causa della trasformazione delle industrie di cui faceva (fa) parte e dell’ecosistema in cui si muoveva (muove).
In merito alla trasformazione di industrie ed ecosistemi, si vedano le due seguenti immagini:
E successivo, del 2023
A volte, si è modificata in base a delle contingenze interne “dobbiamo ridurre i costi di agenzia di gestione e manutenzione dei siti web” → introduzione del web & content manager interno; o del contesto esterno “tutti i nostri competitors sono sui social” → introduzione del community manager o del social media manager; altre volte con un business plan agganciato (Content Factory, Media Company, D2C, etc etc).
Tuttavia, ogni piccolo cambiamento, creato in modo più o meno sistemico, ha generato delle onde d’urto.
Introdurre in un dipartimento marketing figure (senior) più “Digitali” o “Creative” o “Tecnologiche” porta con sé un nuovo vocabolario, delle nuove metodologie, delle nuove attitudini che un po’ alla volta possono contaminare il resto del dipartimento e riuscire in quell’impresa che sembra impossibile ma è onnipresente in tutte le slides dei migliori consulenti “La Trasformazione Olistica”.
La goccia che scava la pietra.
Ecco che un dubbio si insinua: le nuove figure e le precedenti potrebbero creare un miscuglio eterogeneo che fa fatica ad amalgamarsi (olio e acqua per capirci), e il rischio che si corre è che si trasformi solo la superficie (eg. il design del nuovo sito, la content strategy sui social, la nuova dashboard di PowerBi con tutti i KPi’s di business tracciati perfettamente ed esteticamente piacevole, il nuovo spot tv per la GenZ, l’evento con i creators, la campagna con l’AI), mentre la struttura centrale rimane identica a sé stessa. Il Product Marketing Manager continuerà a fare il PM come l’ha sempre fatto, chi si occupa di ricerche di mercato continuerà a farlo come sempre, la comunicazione - beh, è ovvio ormai - procederà come sempre.
L’olio rimane sopra, l’acqua rimane sotto.
Se il nostro modello di trasformazione prevede di inserire degli specialisti per ogni nuova capability rilevante (mossa da fattori endogeni o esogeni non fa molto la differenza), e già oggi sappiamo che il contesto è in continua evoluzione (cfr Macrotrends driving business transformation di cui sopra), come possiamo continuare ad essere future ready se non possiamo inserire infiniti FTE all’interno della nostra organizzazione? (Sì certo, c’è l’AI che potrà aiutarci, ma date le allucinazioni che prende, per il momento, non farei affidamento solo sull’AI come panacea di tutti gli FTE mancanti).
Dunque, date le premesse, volendo limitare il rischio di acqua e olio, quali azioni possiamo compiere?
Provo a semplificare, basandomi in parte sulla letteratura, in parte sulla mia esperienza personale, cercando di considerare solo 6 macro step per il cambiamento, in cui il primo, pur non essendo il più difficile, è davvero l’unico abilitante.
1) Trovate una persona (in azienda, nell’open market) che chiameremo “Strategist o Stratega” - che alla fine è il suo vero nome - di cui vi fidate e che incorpori il cambiamento che volete vedere nella vostra organizzazione (o che possa portare una sua visione) e datele il mandato di agire. Se siete fortunati, potrebbe essere già la persona che si occupa di Marketing, Comunicazione, Vendite, nella vostra organizzazione, ma attenzione: il processo di trasformazione è lungo (3-5 anni almeno) e periglioso e potrebbe distogliere l'attenzione dal Business As Usual.
2) La persona con il mandato sceglierà la metodologia più efficace a seconda del contesto in cui si trova (e se è una persona nuova in azienda, avrà bisogno di un po’ di tempo per capirvi e capirsi).
Tra parentesi: da quando Elena Crudo in un pomeriggio assolato di 5-6 anni fa mi ha regalato il libro Teoria U - I fondamentali, devo dire che quel framework è entrato tra i miei preferiti quando si tratta di Change Management e ne consiglierei l'approfondimento a chiunque stesse affrontando questo passaggio dell’Acheronte.
Comunque, aldilà della filosofia, quella persona dovrà fare un assessment: una chiara valutazione delle capacità attuali e un benchmark verso l’esterno.
L’assessment formalizzato vi aiuterà a capire qual è il vostro T0.
3) Ora che avete l’assessment, c’è da disegnare la Strategia, solitamente composta da:
una visione futura
una roadmap per raggiungerla
dei kpi’s per monitorare che siamo sulla rotta giusta
dei building blocks che aiutino a sciogliere dubbi e dipanare perplessità lungo la via (non necessariamente in quest’ordine!)
Consiglio non richiesto: se l’ambizione è molto lontana dal T0 di partenza, ricordatevi sempre che un elefante si mangia un pezzetto alla volta. La roadmap di execution è fondamentale affinché - come mi piace ripetere spesso - quella visione non diventi un’allucinazione.
4) È il momento dell’experience: eh sì, perché in quella roadmap probabilmente avrete identificato che uno dei primi progetti è un mix di tecnologia, innovazione, magari AI e forse rivolto al vostro target principale. Partire dalle cose che si vedono aiuta molto: limita la sensazione di infinito, si può trasformare in un progetto di Upskilling grazie al training on the job che le persone partecipanti al progetto faranno ed aiuterà ad imparare una nuova metodologia (eg. Design Thinking, Agile… ). Infine, se il bisogno è stato individuato correttamente, potrebbe essere qualcosa che avete sempre rimandato o non avete mai avuto il coraggio di affrontare perché troppo complesso, troppo costoso, troppo lungo, troppo troppo.
5) Tempo di competenze: in quel T0 sapete anche che cosa le persone sanno realmente fare e cosa no. I progetti del punto 4 sicuramente aiuteranno, ma non bastano. A volte serve anche una buona dose di teoria. Coordinandosi con le HR per definire un piano di Skills Acquisition, forse verrà costruito un nuovo modello mixato di interventi frontali, auto-aggiornamento attraverso piattaforme di self-learning, masterclass o workshop.
6) Ed ora, veniamo al nocciolo duro: i processi. Vero, esistono i processi interni al team e quelli interfunzionali, ma sappiamo entrambi che il cambiamento avviene quando anche le funzioni di prossimità (ad esempio R&D, vendite, logistica,) entrano nello stesso modalità di collaborazione. Di nuovo, quella roadmap di progetti vi verrà in aiuto. Può darsi che l’abbiate già dovuta aggiornare più volte perché è una roadmap viva e mobile ed avendo adottato la modalità del continuous monitoring e del feedback loop, ora potrebbe contenere un sotto-progetto all’interno di quel progetto di experience del punto 4 che cambierà un processo.
L’unico mantra è “vietato spaventarsi”: il cambiamento atterrisce anche i più audaci ma, con una buona governance, ridurrete il rischio di rompere irrimediabilmente proprio quel qualcosa che non andava toccato.
Ovviamente la mia non vuole essere la ricetta definitiva per la trasformazione delle competenze di un dipartimento di Marketing, ma spero che possa aiutare ad uscire dalla logica della “crescita per specializzazione”. Nel caso in cui la versione testuale risultasse troppo lunga, qui trovate una rielaborazione carina e pucciosa ed in inglese di questi step “How to change your marketing team”
Ah, a proposito di canali.
Ho recuperato da delle vecchie slides un’infografica di repertorio interessante: pubblicata nel 2007 da DreamSystemMedia, mostrava l’evoluzione dei canali di marketing e l’esplosione dei primi anni 2000.
Ho cercato online una versione aggiornata di un qualunque autore, non trovandola (e contemporaneamente non essendo un designer) mi sono fatta aiutare da Infogram per realizzarne una io (è disponibile completa a questo link Marketing Channel History ), perché se provo a scandire il tempo, e quanti strumenti abbiamo aggiunto nella nostra cassetta degli attrezzi, negli ultimi 15 anni, mi gira la testa.
Riassunto:
2010: Inizio della pubblicità mobile, crescita del SEM e del social media marketing.
2011: Crescita della pubblicità su Facebook, maggiore attenzione al SEO.
2012: Espansione delle tecniche di content marketing, iniziativa di remarketing.
2013: Adozione della pubblicità programmatica, introduzione dei pre-roll ads.
2014: Crescita del native advertising e del video marketing.
2015: Introduzione di live streaming e video 360°, beacon technology.
2016: Aumento del marketing su Snapchat e della personalizzazione dei contenuti.
2017: Lancio di Instagram Stories Ads, utilizzo di chatbot e ottimizzazione per la ricerca vocale.
2018: Implementazione di AI nel marketing, espansione del data-driven marketing.
2019: Pubblicità su TikTok, shoppable posts, e crescita del retail media.
2020: Pubblicità interattiva, programmatic TV ads, consolidamento del marketing digitale.
2021: Introduzione di Connected TV ads, audio ads, e rafforzamento della compliance sulla privacy.
2022: Avvento dei CDP, crescita dei dati zero-party, e personalizzazione avanzata.
2023: Adozione del metaverse marketing, espansione del voice commerce, e sostenibilità nel marketing.
2024: Ulteriore innovazione nella personalizzazione, pubblicità retail offsite, e diffusione degli L-Shape ads.
Se date un’occhiata quest’evoluzione ci sta che ci si concentri così tanto sul concetto di Channel, soprattutto se si cerca di perseguire una logica di ottimizzazione.
Effettivamente, sono tantissimi i canali, i mezzi, gli spazi, attraverso cui possiamo sostenere un piano di GoToMarket.
Tuttavia, alla fine, per parafrasare la fin troppo nota citazione del Prof. Levitt “Le persone non vogliono un trapano da un quarto di pollice, vogliono un buco nel muro da un quarto di pollice”, se continuiamo a pensare troppo ai canali rischiamo di non accorgerci che le persone oggi vogliono un quadro appeso a quel muro. E se per farlo, hanno prenotato un Taskrabbit o hanno comprato un trapano dopo un tutorial su Youtube, la mia capacità di influenzare quel customer journey, sarà molto diversa se sono il marketing manager del servizio, del retailer o della marca di trapani, a parità di canali disponibili (sempre che tu non sia Amazon, ma questa è un’altra storia).