Caro funnel ti scrivo
“Mi credo perché gli adulti non dovrebbero vivere come preferiscono” (Shoji Morimoto")
La vita dello scrittore di newsletter è particolarmente complessa. Non è tanto la FOMO da pubblicazione (si, a volte la paura di essere cacciati fuori dal giro dei giusti c’è) è soprattutto la voglia di non deludere il lettore, convinti come siamo che lo stesso sia li ad attendere bramoso il nostro settimanale. Chi lo sa. Proprio mentre premevo il tasto “posponi” per rimandare al prossimo venerdì i miei pensieri, un articolo ha attirato la mia attenzione. È nella curation list di Letmetellit a cui spetta la paternità della “scoperta”. Sveliamo il protagonista con un’immagine.
Intitolammo il B2BDay di qualche anno fa “fuori dal funnel”, più che ispirati dal libro “Smash the funnel” (ne parlo abbondantemente in Professione Marketing Manager). Era palese che qualcosa in questo modello scricchiolasse. La domanda sorge(va) spontanea: siamo pronti a ripensare il funnel?
Il punto di partenza è semplice: il processo step-by-step che porta l’utente all’acquisto è sempre più teorico e sempre meno rappresentativo dell’omnicanalità dei nostri tempi. Dice DeLu Jackson
“People are gathering information pre, during, even after they purchase,” he said. “They continue to gather information, reaffirm and optimize their choices. It’s not a funnel that goes to the bottom and people stop. I think people continue to consume information and insights. So, I think we have to be always on and omnipresent to meet those needs.”
La prima relazione è quindi quella tra informazione e azione. L’idea che oggi appare antesignana del funnel era quella di un utente che raccoglie un grande bagaglio di informazioni come uno sciatore che catalizza tutte le energie prima di spingere al cancelletto per gettarsi a capofitto nello slalom gigante. La dimensione informativa oggi è invece sempre presente e costantemente rinnovata nella relazione tra brand e utente, anche dopo l’acquisto.
Sappiamo un po’ tutti che il modello AIDA è addirittura del 1898, un po’ meno noto è che il suo inventore Elias St. Elmo Lewis aveva come motto: “Attract attention, maintain interest, create desire”. Il modello dell’infinite loop è quello che più si adatta ad usi e consumi totalmente mutati, gli stessi che rendono ad esempio la segmentazione demografica piuttosto obsoleta. Oggi l’utente è in grado non solo di vivere complesse esperienze che il funnel mal rappresenta, ad esempio “tornando indietro” dalla decisione alla notorietà, ma è anche possibile che lo stesso completi un “instant purchase” bypassando totalmente la fase di considerazione e decisione.
C’è una cosa di marketing che non vuole dire nessuno. Misurare è meno bello di un tempo. Abbiamo la sensazione che i cookie, le piattaforme, i sistemi di tracciamento, restituiscano (spesso) dati “veri fin la”. Gli utenti dell’app e sito di retail media CVS nel 52% dei casi iniziano un acquisto on line e lo concludono in punto vendita entro 48 ore. Omnicanalità e branding è il nuovo fish&chips, rubo uno screen su LinkedIn a Valentina Falcinelli
Quali sono le implicazioni del paradigma di omnicanalità rapportato al modello del funnel? Credo che il demone sia rappresentato dalle frizioni. Come garantire un’esperienza decente quanto il tuo prodotto è in vendita contemporaneamente:
sul tuo sito
da un retailer autorizzato
in farmacia
in autogrill
e su Amazon?
Gli utenti hanno dichiarato chiaramente di non apprezzare esperienze che mancano di fluidità e di essere pronti a non comprare se i brand non si fanno carico della stessa.
Ci sono quattro direttrici che vengono richieste alla marca dall’utente:
Esperienze on line più interattive (mai provato Outgrow nei vostri progetti?)
Supporto nel passaggio dall’ispirazione all’acquisto
Essere sempre più purpose driven
Disegnare esperienze futuristiche e immersive
Queste parole possono sembrare pleonastiche (quanto mi piace scrivere la parola pleonastico) ma si sprecano ormai i casi di retail store in cui l’esperienza la fa da padrone). Il nuovo mantra è la personalizzazione consistente. Mi sono chiesto perché non concordo con la frase del CEO di questo super network di retail media che dice:
“There’s no funnel anymore. Your point of delivery-of-message to point-of-purchase is shortened so much — there’s no awareness, there’s no consideration — you just go straight down to the bottom of the funnel to purchase the moment you see an ad,” says Dhariwal. “So we have to think about how we can continue to add value to that process.”
O meglio, non credo sia l’unico caso possibile. Nel B2B ad esempio, o nell’acquisto di beni complessi, la customer journey è estremamente articolata e “si allunga” rispetto al vecchio modello del funnel. Anche se andrebbe chiarita la definizione di “omnichannel campaign” (immagino sia riferita all’organicità lungo i touchpoints), è davvero interessante come le stesse siano cognitivamente più rilevanti ad ogni livello per l’utente
Forse fare marketing fuori dalla bolla potrebbe essere un inizio. Penso che il pezzo successivo sia rappresentato da un cambio di paradigma: meno progettazione di flussi di touchpoint e più ossessione sulla qualità intra-touchpoint. Fare meno, fare meglio, pensare al cliente. Banalissimo, ma lo stiamo facendo?