Buone Azioni
“Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta”
(Fabrizio De André)
Penso ci sia un modo solo per scrivere buone newsletter (o post): avere buoni contenuti. Questa settimana non li ho, ma a volte essere buoni curatori è meglio che essere buoni scrittori. Cantava il Colle Der Fomento “chi non ha niente da dire è meglio che non dice niente”. Ed invece mi tocca sputare il domenicale, in zona Cesarini.
Sto leggendo un libro, si chiama “L’investitore intelligente” di Ben Graham. E sto contestualmente mettendo due soldi due in borsa, fidandomi di app super interessanti come The Fool e Finimize. Ma qualcosa in quel +120% di Nvidia che mi permetterà di pagarmi le ferie mi fa tremare i polsi. Mi sembra tutto sbagliato. Per questo motivo mi sto immergendo in un libro tecnico che sembra un conclave di gufi e gufate: se anche stai guadagnando stai tranquillo, qualcosa andrà male. Per capirci l’aforisma più ottimistico è “Se ti affidi al caso all’improvviso smetti di avere fortuna”. Ho pensato di fare una cosa un po’ macabra, pensare alle persone come fossero azioni e alle aziende come fossero investitori.
Il libro di Graham dice che tutti comprano convinti del fatto che il mercato crescerà. Cos’è un’acquisto di un’azione in borsa se non una transazione tra un ottimista che compra pensando che tutto crescerà e un pessimista che vende pensando che tutto scenderà? E chi di noi sa che con un’inflazione al 6% un +5% di fatturato (o il 3% di interessi in contro corrente) significa finire l’anno col segno meno davanti alla possibilità di acquistare una coca zero rispetto all’anno prima?
Dice Graham, non guardare al mercato, non guardare alla crescita, guarda al prezzo delle azioni. Il prezzo delle azioni è il costo di acquisizione di un cliente, che nel marketing assume complessità perché va moltiplicato per il life time value di quel cliente (che in borsa potremmo equiparare ai dividendi che le azioni staccano). Noi conosciamo davvero il costo di acquisizione di un cliente? Ne teniamo conto? Secondo Graham per capirci io probabilmente non avrei dovuto comprare Nvidia, e c’è un’azienda la fuori che non avrebbe dovuto spendere 1000 euro in pay per click per acquisire due clienti in più. Eppure ci siamo sempre detti che anche 1 euro, l’ultimo, di ROI è 1 euro di ROI. Si ma col 5% di inflazione siamo in perdita. Chi ci pensa mai? Chi ha mai tenuto conto dell’inflazione nel calcolo del ROAS?
La piccola lezione di questo domenicale è questa: (a parità di bontà ed LTV) dobbiamo pagare un cliente il meno possibile. Quando Serenis con un’attività di guerrilla marketing scrive a mano 2000 foglietti e li attacca ai parabrezza delle auto, o quando WeRoad e NeN ottengono con le loro campagne una visibilità “quasi virale” stanno contemporaneamente abbassando il costo per lead e tenendo fede alla “Diegoliana” regola del “Non frammentare troppo”. Above the Line si, casino si, ma al costo giusto.
Siamo sempre stati abituati ad applicare un marketing mix difensivo (originariamente avevo scritto “scialbo” ma è domenica), fatto di SEO, PPC, social e sito (si, il CRM, il Tech Stack..). Sono attività fondamentali come un Autogrill in autostrada. Ci fai la cacca, ci bevi un caffè, insomma delle marketing commodities. Ma ce la porti la morosa a cena in autogrill per il vostro anniversario? No, la porti Da Vittorio, o giù di li. La scomoda verità è che le agenzie possono sviluppare idee creative “alla Vittorio” e fornire tutto il kit autogrill di cui non si può fare a meno, ma è il marketing manager che può confezionare l’allarme che rende un brand normale un brand identitario. Anche perché se un’agenzia sapesse fare WeRoad, farebbe WeRoad.
Diceva Michelangelo: “se la gente sapesse quanto duramente ho lavorato per raggiungere la mia maestria, non sembrerebbe così meravigliosa”. Bisogna semplicemente fare fatica.
Anche se un cliente sembra da prendere a tutti i costi, a volte ha più senso non inseguirlo e lasciarlo alla concorrenza, concentrandoci magari sulle linee di business più inesplorate e di maggior profitto.
Di questi tempi, è meglio guardare al ROI di lungo periodo e non a strappi che potrebbero rivelarsi grosse scottature
Daniele Francescon di Serenis ha chiuso un’intervento con queste parole, cosa serve per far funzionare un brand?:
Excellent product / service (if not, stop)
Clear Value & Brand Identity
Communicating everywhere
Giving creativity some space to impress
È questa la ricetta per il ROI sopportabile al posto dell’infinite ROAS? Non lo so, ma (forse) ho portato a casa la domenica.