“Ci sono due modi per essere ingannati: uno è credere a ciò che non è vero e l’altro è rifiutarsi di credere a ciò che è vero”. (Søren Kierkegaard)
C’era una volta un Internet che oggi è rinchiuso nell’età della nostalgia. Ed era un Internet più gentile, proprio come apparirà più gentile questo Internet a chi oggi 20enne criticherà le generazioni del futuro, screanzate di certo. Perché la nostalgia e il fastidio per il futuro non sono altro che il rifiuto di corpo e anima della dura verità: ci sono corpi e anime più belli freschi e giovani dei nostri. Che poi probabilmente scomodando il DNA, sta cosa ha pure una valenza scientifica: quando non servi più per preservare la specie puoi lasciare spazio ad altri. La natura è come il meme di Andrea Pirlo: not impressed. In quell’internet non c’era nulla di romantico nell’’attendere la connessione a 56k prendere la linea, o nel tirare un filo di 6 metri al router. C’erano però delle connessioni figlie di qualcosa di non scontato, perché ad Ultima on Line o ad Hattrick si giocava in pochi.
Ma soprattutto la lentezza era parte del gioco, e la si esorcizzava io e Luca che tiriamo notte al bar pur di poter pescare alla lotteria dei giovani calciatori il talento del venerdì, o Francesco che mette sua sorella a difendere il villaggio da un invasore magiaro a Travian 3. In quell’internet nessuno era teso sul gdpr, con C6 o msn potevi cercare un ragazzo o una ragazza e cercare l’approccio.
Ed anche ha Gig economy era gentile, il mechanical turk di Amazon è (esiste ancora) un servizio cui iscriversi per fare piccoli task in cambio di un compenso monetario. Prende il nome dal turco meccanico:
Il Turco (in tedesco: Schachtürke; in ungherese: A Török) era un automa che, teoricamente, avrebbe dovuto simulare un giocatore di scacchi, mentre si trattava in realtà di un imbroglio, essendo manovrato al suo interno da un giocatore umano.
Oggi la memetica del turco è quella dell’olimpionico 51enne che spara con le mani in tasca. Si tratta di uno spartiacque gigante: quel meme è il segno che la competenza non esiste più. Le mani in tasca sono infatti la posizione più stabile per sparare, e cuffia e occhiali tecnici sono poco più che un vezzo (per quella specialità) in uno sport dove concentrazione e respirazione la fanno da padrone.
E poi si arriva quarti. Piange di gioia Benedetta Pilato, che a 19 anni nello 0,011% degli atleti (non degli umani) che accedono alle olimpiadi. Ma “le tigri”, cioè le donne d’oro del passato italiano attaccano. E lo fanno anche con il fioretto a squadre perché “noi non saremmo mai arretrate”. In casi come questo nessun punto di vista aggiunge nulla, quindi nelle licenze poetiche agostane c’è solo da provare a tornare gentili, ricordando che questa generazione instabile l’abbiamo creata noi con l’arroganza dei diritti acquisiti che fanno le pernacchie al futuro sociale, con gli psicologi on line ormai vitali per sopravvivere, con la retorica della vita che fa schifo perché quella bella al massimo la guardi su Instagram. Che poi forse a 1400 al mese per lavorare come un dannato fa schifo davvero. Però il prossimo offsite a Ibiza ti ricorderà che il collega è anche un po’ tuo amico. In realtà vi odiate e anche stasera piangerai nella tua cameretta.
Quindi cosa puoi dire a una che di olimpiadi ne farà almeno altre 2 se non “brava”, e se anche le sue lacrime fossero finte “brava ugualmente”. Perché le tigri mi ricordano “la vecchia mai stata moglie” di De André che “rivolgendosi alle cornute, le apostrofò con parole argute”, aizzandole contro la candida Bocca Di Rosa.
Urge comprendere che la retorica dell’obiettivo può essere sostituita con l’elogio del viaggio. Tanto poi c’è Lebron. dovrebbero sapere le tigri che ci sarà sempre un outlier più outlier di te. Come si fa a liberarla questa generazione? Smettendo di iniettare micro dosi di dopamina nelle stanche sinapsi di questi ragazzi, smettendo di raccontare storie. Questa è la prima generazione da guidare, a cui non ha davvero senso insegnare. Diamogli la canna da pesca e un tutorial, impareranno a pescare. A volte le cose hanno a che fare col salvarsi da un mondo complesso, e ci vuole dolcezza per spiegarle e capirle.
In sintesi, arrivare quarti non è una vittoria o una sconfitta, è arrivare quarti.
Inside out 2 (spoiler) finisce proprio col dubbio se alla fine la protagonista ce la farà o no… poco dovrebbe interessare e invece mia figlia 9enne non si è data pace per un paio d’ore. Competere per vincere o perdere