Elogio della strada
Quando Franco entra dalla porta di Marketing Arena sono le 11.30 di venerdì, i buoni propositi sono già saltati tutti al 14 di settembre, un pranzo è diventato un caffè per incastrare una call, un’altra call l’ho bucata di brutto ed un’altra ancora è diventata una telefonata. Alle 11 di venerdì. Che casino. Non si tratta di disorganizzazione o di qualche tipo di ansia da lavoro, si tratta di inserire appuntamenti su appuntamenti per una strana FOMO da perdersi qualcosa. È una cosa molto negativa ma contemporaneamente foriera di energia, mi piace e mi va bene così.
Franco è il terzo rappresentante che incontro in 10 giorni, sto lavorando ad un progetto che prevede dialoghi serrati con queste figure, ed è per il marketing un bagno di realtà. Ho sempre pensato che i salotti che noi marchettari frequentiamo siano ovattati e privilegiati, il marketing è di per sé una funzione ancora sontuosa, se pensiamo ad un panificio raramente ha un marketing manager, impiega un umano di prodotto ed un venditore, che spesso coincidono. Franco mi racconta una storia diversa, così come Stefano e Francesco nei giorni precedenti. Queste persone che scrivono “rappresentanze” dopo il proprio cognome sul biglietto da visita sono i famosi agenti plurimandatari, e portano in mano non un mazzolin di rose e viole come diceva il poeta, bensì pesanti cataloghi. Guadagnano intermediando ordini, spesso al servizio non di un’azienda di prodotto (ad esempio Riso Acquerello) ma del distributore regionale (ad esempio Antiga Distribuzioni), in un complesso circolo di esclusive, sconti per il pagamento anticipato e storie. Un Pueblo Unido che si muove tra autostrade, piccoli eventi e relazioni personali.
La descrizione del libro Alpha Cities su Amazon è la seguente:
Who owns London? In recent decades, it has fallen into the hands of the super-rich. It is today the essential “World City” for High-Net-Worth Individuals and Ultra-High-Net-Worth Individuals. Compared to New York or Tokyo, the two cities that bear the closest comparison, it has the largest number of wealthy people per head of population. Taken as a whole, London is the epicentre of the world’s finance markets, an elite cultural hub, and a place to hide one’s wealth.
Il fenomeno della polarizzazione delle competenze è molto più studiato di quello dei consumi. È esistita nel marketing (o meglio, nella sociologia dei consumi) una scuola di pensiero che fa capo a Codeluppi (consumi) e Fabris (consumatori) che ben descriveva il postmoderno. Dopo quel periodo, in cui No Logo di Naomi Klein batteva forte sull’anti-consumo, il nulla o quasi. Se gli studi sulle Global Value Chain ci dicono che finanza e comunicazione si sono spostate a Milano di gran lena, la riflessione sui centri commerciali come Alpha Mall è ben più debole. Ma è da qui che voglio partire per declinare tre livelli di consumo di strada:
Il casolìn: sono luoghi che resistono in periferia, mini supermercati o gastronomie che vendono però anche carta igienica e dentifricio. Quando giocavo a calcio ai campetti resisteva la CRAI, che ha poi chiuso per lasciare spazio alla SPAC poco vicino (prima coesistevano). Ma poi è arrivata nel quartiere la COOP ed hanno chiuso entrambe
La nuova bottega radical chic: i mercati ed i mercanti non ci sono stati a questa deumanizzazione del commercio, ed hanno chiesto all’industria un modo per alzare i prezzi di ogni prodotto, e la conseguente narrazione. Il crudo buono, ne bastava uno selezionato dal bottegaro, ha lasciato spazio a 5 selezioni. In città sono arrivate le nuove botteghe: mustacci articolati e traverse di pelle pesante. È successo anche con i parrucchieri oggi barber shop e molte altre professioni artigiane
Il centro commerciale: rappresenta paradossalmente la più onesta delle narrazioni del consumo. Abbiamo tante cose, luccica tutto, vieni in chiesa e loda il Dio del prodotto. Non c’è nulla di nascosto, noi ti svanghiamo la domenica con Winnie Pooh che danza per i tuoi figli, tu compri un marsupio di H&M, ciao.
Quando mio zio lavorava alla Galbani raccoglieva gli ordini, riempiva il suo camion dal magazzino alle 4 del mattino, portava la caciotta in basso Polesine (per capirci da Rovigo a Bonelli c’è un’ora di strada, è lungo il Polesine) e tornava quando calava la nebbia. Ora non c’è più la nebbia, e non c’è più neanche il casolino a Bonelli. Gli eredi di questo mestiere puro e duro sono persone come Franco, che la merce non la portano più (demandato tutto a una logistica centralizzata) ma le mani pesanti e rugose le hanno ancora: fino a che rimarranno le cicatrici di quel tempo rimarrà quel tempo. Di gente così abbiamo bisogno perché umanizza il mercato ed il consumo, umanizza cioè le poche relazioni che ci sono rimaste visto che quelle sentimentali sono state vendute all’amore a noleggio di Tinder e la religione ci serve molto meno da quando abbiamo capito che i fulmini non sono gli scatti d’ira di un Dio incazzato.
Franco aveva un ristorante. Mi ha detto che una sera ha visto una scena che non gli piaceva (succedeva tutto a colpi di ordini di costoso Champagne), ed ha avuto un’illuminazione: ha capito di non voler più fare quel mestiere. Proprio nella sera in cui stava guadagnando di più. È di questa gente vera che abbiamo ancora bisogno.
C’è del marketing in questa romantica deriva, ce n’è nei mini eventi che le aziende hanno ripreso a fare, ce n’è nella gestione di un database fatto di foto su whatsapp e telefonate sotto sera. Abbiamo enormemente bisogno della strada per vendere tutto, dalle assicurazioni ai formaggi. Sarebbe un enorme errore dimenticarsi di questa parte del mestiere. Aprite il vostro piano di marketing, cosa ci trovate alla voce hyper local strategy?